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Locust

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VOTO: 7.5

Made in Taiwan

Gravido di amore per il cinema e per la sua patria, Taiwan, è Locust, esordio al lungometraggio per KEFF, artista e scrittore, nonché dj, oltre che filmmaker, americano-taiwanese, che si firma con questo pseudonimo. Film presentato alla Semaine de la critique di Cannes 2024. In questa opera confluisce il cosmopolitismo del giovane regista, taiwanese, nato a Singapore, vissuto anche a Hong Kong e negli Stati Uniti, in cui è nato un rapporto con Spike Lee che lo ha supportato nel suo cortometraggio d’esordio, Secret Lives of Asians at Night. L’operazione di Locust consiste nel trattare temi di scottante attualità per il pubblico taiwanese, i rapporti con la Cina da un lato, ma anche la gentrificazione e la corruzione interna dall’altro, nella confezione di un film di genere, di un gangster movie, con un retroterra quindi sociopolitico. Il film inizia con le scene in tv delle proteste di Hong Kong del 2019-20, che rimbalzano a Taiwan a monito di cosa comporterebbe il ritorno dell’isola sotto la sovranità della Repubblica Popolare Cinese. Taiwan vive sotto questa spada di Damocle, questa minaccia incombente. Oltre alle manifestazioni nella ex-colonia britannica, vediamo anche la flotta navale cinese invadere lo spazio territoriale di Taiwan. Un personaggio dice subito che a Taiwan ci sono elezioni ogni anno, il che demarca il carattere democratico dell’isola, in opposizione alla Cina continentale. Ma il voto dispiega anche gli aspetti peggiori, come il populismo, le facili promesse elettorali.

Il film segue il giovane Zhong-Han, cameriere in un ristorante a conduzione famigliare di giorno, e sgherro in una gang di notte. Quando il ristorante viene acquistato da un nuovo proprietario, che possiede già tanti locali nella città, propenso a rilanciarlo rendendolo à la page, si scontra con la famiglia che lo conduce. Qui sarà chiara la connessione tra finanza e malavita. E Zhong-Han, come membro della gang, sarà costretto a partecipare ad azioni di intimidazione contro gli stessi che gli danno lavoro di giorno. Il ragazzo protagonista è muto, il che richiama al ruolo di Tony Leung in una delle opere miliari del cinema taiwanese, ovvero Città dolente di Hou Hsiao-hsien. In Locust si parla anche nella lingua hakka ancestrale, quella della popolazione taiwanese indigena soppiantata dai nazionalisti cinesi dopo la fine della guerra civile, nel 1949. E questo ci riporta a quanto narrato in Città dolente. KEFF ha studiato il cinema di tutto il mondo e infarcisce il film di citazioni. Dal rapinatore con la maschera di Obama, che richiama i gangster con le maschere dei presidenti USA di Point Break; la ragazza, con una propensione per i manga, parla dell’anime Your Name di Makoto Shinkai. E qualcuno nel film sembra Takeshi Kaneshiro, l’attore hongkongese di origine giapponese.

Locust è soprattutto il ritratto della fragilità di Zhong-Han, un insetto prima rappresentato in forma di origami e poi come una vera cavalletta. Si tratta della fragilità della nazione taiwanese, una piccola isola in balia di forze più grandi, tra capitalismo, corruzione e minaccia cinese.

Giampiero Raganelli

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