Educazione patagonica
Dalla Settimana della Critica, oltre al meraviglioso Les Garçon Sauvages, è venuto anche il film argentino vincitore del Premio del Pubblico SIAE: Temporada de caza. Eppure, complice il livello mediamente piuttosto alto di questa 74° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il film diretto da Natalia Garagiola non ha saputo replicare in noi il senso di complicità intellettuale e le emozioni che un’altra opera realizzata nel suo paese, Il cittadino illustre (El ciudadano ilustre) di Gastón Duprat e Mariano Cohn, aveva saputo suscitare in Laguna appena un anno fa.
Tutto sembra incanalarsi, sin dall’inizio, nello schema non nuovissimo del racconto di formazione nel quale un personaggio ribelle, già poco a suo agio con la propria vita, viene catapultato in una realtà ancora più distante sia dal punto di vista geografico che da quello emotivo, soprattutto, dovendosi poi in qualche modo adattare. Nella fattispecie è il giovanissimo Nahuel il soggetto in questione. Le prime scene del film lo vedono azzuffarsi con alcuni coetanei durante un allenamento sportivo, nella sua Buenos Aires. C’è di mezzo anche una situazione famigliare indubbiamente problematica. E difatti, dopo la traumatica dipartita della madre, sarà costretto a stabilirsi per un certo periodo in quella regione lontana, la Patagonia, dove ad attenderlo c’è il padre Ernesto, che non vede da circa 10 anni, con la sua nuova famiglia. Sì, perché i suoi genitori si erano presto separati, rifacendosi poi una vita in posti talmente lontani tra loro.
Il contatto tra Nahuel e questa situazione per lui nuova sarà a dir poco ruvido. Clima teso col padre, atteggiamenti sprezzanti verso la gente del posto, difficoltà a integrarsi. Ma, tra piccoli e grandi scossoni dovuti anche a un carattere scontroso, il ragazzo comincerà a comprendere meglio quei posti, lasciandosi a tratti incuriosire dalla natura selvaggia di tali terre, brulle, montuose e apparentemente inospitali. In parallelo anche il rapporto con papà Ernesto, a sua volta uomo di poche parole e molti fatti, comincerà ad ammorbidirsi. Fino alla tanto agognata data della partenza, del rientro nella capitale…
Purtroppo Natalia Garagiola, dilatando i tempi e concentrandosi talora sul rapporto del protagonista con personaggi appena abbozzati o su altri aspetti poco incisivi del difficile periodo di ambientamento, fa fatica a sottrarsi a determinati cliché, sprecando così qualche valida intuizione narrativa. Resta ovviamente il fascino dell’ambientazione patagonica. Quella stessa Patagonia che ha fatto già da sfondo a bei romanzi tra cui il recente Agosto dell’attrice e narratrice argentina Romina Paula, come anche a innumerevoli pellicole, alcune delle quali memorabili: le prime che ci vengono in mente sono il delizioso lungometraggio di Alejandro Agresti, L’ultimo cinema del mondo (El viento se llevó lo qué, 1998), ed il film interpretato da Daniel Day-Lewis nel 1989, Fergus O’Connell dentista in Patagonia per la regia di Carlos Sorín. In Temporada de caza il compenetrarsi delle suggestioni ambientali e dello stato d’animo evidenziato da qualche inquieto personaggio non raggiunge gli stessi livelli, ma regala comunque alcuni dei momenti più riusciti del film.
Stefano Coccia