Una storia antica come il mondo
La favola dell’Ebreo cortigiano è una favola archetipica che si tramanda da millenni e che racconta la storia di un faccendiere ebreo, appunto, che fa un dono o un favore ad un altro uomo, il quale, in seguito, diventerà un uomo di potere. L’ebreo, dunque, diventerà consigliere di fiducia di quest’ultimo, finché non cadrà vittima di invidie ed ostilità. Tale racconto è stato, nel corso dei secoli, più volte riproposto anche tramite diverse versioni. Ed ecco che personaggi come Fagin dell’”Oliver Twist” di Charles Dickens o Shylock de “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare assumono, di volta in volta, il ruolo dell’ebreo sopracitato. Un’ulteriore rilettura di tale favola è stata fatta anche Joseph Cedar, giovane regista israeliano, con il suo L’incredibile vita di Norman – La moderata ascesa e la tragica caduta di un faccendiere newyorchese, suo primo lungometraggio in lingua inglese, dove vediamo un più che convincente Richard Gere nel ruolo del faccendiere ebreo Norman Oppenheimer.
Norman, appunto, è un uomo timido, impacciato, apparentemente solo al mondo, che cerca di accattivarsi le amicizie di uomini potenti facendogli innumerevoli favori, presentandogli persone altrettanto importanti e seguendoli passo passo nella loro scalata verso il successo. È stato così, ad esempio, con un giovane politico israeliano, a cui Norman ha regalato un costoso paio di scarpe e che, in seguito, è diventato Primo Ministro. Ma le cose si sono messe davvero bene anche per Norman, in realtà? Parrebbe proprio di no. Come tradizione vuole, non c’è lieto fine per il nostro Ebreo cortigiano.
Peccato. Perché il Norman qui messo in scena è, in realtà, un personaggio che, più che altro, fa tenerezza e con il quale si tende a simpatizzare fin da subito. Non ci viene detto praticamente nulla della sua vita privata, né del suo passato. Gli unici elementi fornitici sono l’esistenza di una figlia e di una moglie defunta. Ma sarà poi vero? O è solo una storia che lo stesso Norman tende a raccontare alle sue nuove conoscenze, al fine di apparire più “umano”? Poco ci importa, alla fine. Ciò che ha reale importanza è soprattutto il fatto che questo buffo personaggio riesce a catalizzare l’attenzione su di sé per circa due ore di fila. Merito, ovviamente, di un buono script, ma anche, dobbiamo riconoscerlo, di Richard Gere, qui in una delle sue interpretazioni più convincenti, il quale si è riuscito pienamente a riscattare dopo il disastroso The Dinner (diretto da Oren Moverman, che per L’incredibile vita di Norman, invece, ha partecipato alla produzione), presentato alla 67° Berlinale.
Il vero pezzo forte di questo ultimo lungometraggio di Cedar è, però, proprio la regia: finti split screens, dissolvenze incrociate che ci mostrano le immagini mentre ruotano come in una sorta di coreografia, audaci plongés ed un sapiente uso della musica che tende a sdrammatizzare anche i momenti emotivamente più “difficili da digerire”, rivelano un talento da non sottovalutare e da tenere d’occhio. Non ci resta che attendere, dunque, il prossimo lavoro del giovane Cedar. E chissà se la prossima volta porterà avanti anche la riuscita collaborazione con lo stesso Richard Gere!
Marina Pavido