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Il cittadino illustre

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VOTO: 8

Senza confini tra realtà e fantasia

«L’artista deve scuotere», dice Daniel Mantovani (Oscar Martinez) durante il discorso di conferimento del Premio Nobel per la Letteratura.
El Ciudadano Ilustre parte subito sul piede di guerra, facendo, la propria dichiarazione di poetica e lanciando anche una provocazione. A tal proposito esiste «una sorta di ferita aperta nell’orgoglio argentino perché è un Paese che vanta importanti scrittori che non hanno ottenuto però un Nobel per la letteratura, argomento che il film riprende saldando quella mancanza con il protagonista che, invece, ottiene il premio che gli è stato negato a Jorge Luis Borges» (dalle note di produzione). I due registi, Mariano Cohn e Gastón Duprat, hanno molto a cuore la questione artistica e l’artista. I loro esordi sono legati alla video arte e al cinema sperimentale, con la loro opera prima, nel 2008, El artista, riflettevano già sul tema. In quella circostanza, sotto i riflettori c’era la natura dell’opera d’arte attraverso lo sguardo dell’arte contemporanea. Ne Il cittadino illustre (El Ciudadano Ilustre, il titolo originale) presentato in Concorso alla 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, sotto la lente d’ingrandimento della macchina da presa c’è uno scrittore, ma, facendo un salto ulteriore, l’Arte. Effettivamente molte riflessioni esplicitate dal protagonista nel corso del lungometraggio sono applicabili indistintamente in ogni branca della cultura e dello spettacolo.
Dopo che la voce fuori campo ci ha introdotto la figura di Mantovani, assistiamo alla cerimonia che si svolge in quel di Stoccolma per l’assegnazione dei Nobel. Il discorso dell’autore lascia tutti sbigottiti, soprattutto nell’impatto con quelle frasi senza mezzi termini. Mentre lo si ascolta la mente va alla divisione gramsciana tra intellettuali “tradizionali” e “organici”, con questi ultimi «legati organicamente al gruppo sociale fondamentale; però anche gli intellettuali “tradizionali”, anche se non ne sono consapevoli, sono in ultima analisi “commessi” della classe dominante, “organici” al gruppo sociale fondamentale e svolgono “funzioni organizzative e connettive”, di direzione ideologica e culturale. Sta qui il rapporto tra intellettuali ed egemonia: la classe dominante o che aspira a divenire tale cerca di utilizzare gli intellettuali per esercitare un’egemonia su tutta la società», scriveva il politico e filosofo nei “Quaderni del carcere”. Questo secondo lungometraggio di Cohn e Duprat riesce a rilanciare le domande: chi è l’artista e qual è il suo ruolo oggi senza servirsi di toni pesanti, gran merito va alla sceneggiatura (Andrés Duprat) e alle interpretazioni, su tutte quella del protagonista.
Come se il film fosse un romanzo, si procede per capitoli, il pregio sta proprio nel fatto di non percepire lo scarto tra ciò che è frutto dell’immaginazione e la realtà (se non verso l’epilogo ed è nostra premura non svelarvi tutto il meccanismo) e all’imprevedibilità che sottende l’intero script. Non è la prima volta che la scrittura romanzata prende vita sullo schermo (per certe sfumature il pensiero va a Gemma Bovery di Anne Fontaine), ma qui accade in una maniera non scontata. Il nostro Mantovani si ritrova, ponendo delle particolari carte in tavola infatti, a fare i conti con il suo passato, con la città di Salas – lasciata anni prima per vivere in Europa – e con tutti quei legami non affrontati.
Con un cinismo sulfureo, rintracciabile in alcune commedie latino-americane, El Ciudadano Ilustre gioca con alcuni tòpoi della letteratura, ribaltandoli a suo vantaggio, smascherando con ironia (senza mai dimenticare il tatto) i meccanismi (o quantomeno alcuni di essi) che guidano la mente di uno scrittore e, nel complesso, dell’arte. «La semplicità può essere sovversiva, è un atto di generosità artistica», asserisce Mantovani.

Maria Lucia Tangorra

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