Il letto del fiume
Arrivano sin dai primi giorni, inevitabilmente, i paradossi di una kermesse cinematografica priva di identità. Si chiama quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, ma un lungometraggio come Tantas Almas diretto dal colombiano Nicolás Rincón Gille, presentato nell’ambito della Selezione Ufficiale, ha il sapore stantio di troppe opere da Festival di retroguardia destinate all’oblio. Del resto le carte sono in tavola sin dall’inizio, nella messa in scena dell’epopea avente come protagonista l’umile pescatore José, tornato a casa dopo una notte di lavoro senza più trovare moglie e i due figli maschi, Rafael e Dionisio. Solo la figlia femmina, Carmen, riemerge da un canneto, salvatasi miracolosamente da un proditorio attacco da parte dei paramilitari colombiani. Ci troviamo infatti nei mezzo dei sanguinosi anni ottanta del paese sudamericano. José inizia allora una ricerca disperata dei due ragazzi, attraverso il maestoso fiume (non specificato, forse il Rio delle Amazzoni…) che rappresenta, dualisticamente, fonte di sostentamento (la pesca) e cimitero (cadaveri ivi abbandonati) per gli abitanti della regione.
Il regista – proveniente dal documentario; si nota dal modo naturalistico in cui riprende i bellissimi panorami incontaminati – decide a monte di non farsi mancare nulla. Stilizzazione portata agli estremi, con tanto di sequenze gratuite ed inserire senza spiegazioni di sorta, tipo la didascalica nuotata di José controcorrente. Ritmi narrativi, soprattutto nella prima parte, dilatati fino allo sfinimento dello spettatore, il quale nemmeno per un momento avverte la sensazione di poter condividere la triste vicenda umana del protagonista. Brutti incontri con le milizie vengono bilanciati da una certa solidarietà da parte di persone sconosciute, quasi che Rincón Gille ci tenesse a sottolineare come dagli orrori possa sempre nascere qualcosa di un certo valore etico. Bene allora. Anzi male. Perché appena José si appella a Sant’Antonio nella speranza di un segnale positivo ecco che dalla riva del fiume affiora il cadavere di Rafael. Sempre con ammirevole e serafica calma il nostro decide di proseguire nel viaggio. Tuttavia il problema è che l’intero film appare visibilmente costruito a tavolino, cercando a tutti costi l’indignazione di chi guarda senza provocare il minimo coinvolgimento emotivo. Quello realizzato dal regista colombiano – peraltro alla prima prova di finzione – è ben lontano dal cinema semi-onirico e ipnotico del thailandese Apichatpong Weerasethakul, capace di chiamare in diretta causa il fruitore cercando la di lui (o lei) complicità nella decifrazione del senso; Tantas Almas risulta al contrario semplicemente essere una sorta di saggio cinematografico teso a dimostrare il presunto talento del proprio autore. Talento che, se davvero presente, dovrebbe emergere in modalità più spontanea e meno calcolata. Anche perché la sceneggiatura – opera dello stesso regista – mostra pecche di incalcolabile valenza, compreso un epilogo, con “sineddoche” fisica a decretare la fine di ogni preghiera e forse, chissà, un nuovo inizio, che definire demenziale sarebbe persino generoso.
Il letto del fiume, rifacendoci al titolo interno che abbiamo voluto assegnare a questa recensione, rende molto più incline al sonno piuttosto che all’interesse per una condizione umana sempre, purtroppo, universale e ripetuta a qualsivoglia latitudine. Ieri come oggi.
Daniele De Angelis