L’ultima tragedia Shakespeariana
L’ottava edizione del festival Cinema Svizzero a Venezia si è aperta con la proiezione del film documentario Stucky, una fortuna a Venezia, di Emiland Guillerme e Francois Rabaté, storia della famiglia elvetica che a Venezia ha costruito e perso la sua fama e la sua enorme ricchezza. Un documentario basato su rigorosi documenti storici, tra cui fotografie e film amatoriali in 15mm girati con la sua Pocket Chrono dall’ultimo grande Stucky, Giancarlo, appassionato di arte e regista in erba.
Gli Stucky, ‘ultimi dogi di Venezia’; da semplici mugnai svizzeri a pionieri dell’industria veneziana, la loro saga familiare viene qui raccontata in tre atti come una pura tragedia Shakespeariana, dalla folgorante ascesa al brutale declino. Il prologo: il funerale di Giovanni Stucky, uomo più ricco di Venezia, principe dei mugnai, nel 1910.
Atto I: Hans. Il fondatore della dinastia. Nato nella Svizzera tedesca, povera e rurale, a 16 anni se ne va, approdando nel Veneto sotto dominazione austriaca ed iniziando la sua ascesa economica. Da semplice mugnaio presso il Mulino San Girolamo, Hans si metterà in proprio con notevole fortuna, diventando Giovanni, ed entrando a far parte dei notabili di Venezia.
Atto II: Giovanni. Il figlio che rivoluzionerà l’industria veneziana. Scoperta ad Odessa, durante il suo viaggio studio, la tecnica dei cilindri metallici, Giovanni la porta nei suoi mulini a Treviso. Ma è nel 1897, a Venezia, che inizia la rivoluzione industriale costruendo il Molino Stucky, edificio in mattoni, mulino fabbrica tutto automatizzato, all’avanguardia. Ottimizza quindi il lavoro costruendo intorno a questo case moderne per i suoi operai, con i quali instaura un rapporto paternalista, coinvolgendoli nella fedeltà all’azienda, nello stile imprenditoriale del pater familias. Nel 1903, a Portogruaro, crea una intera città agricola Stucky.
Il suo successo è allo zenit: la sua famiglia ha un palco permanente al teatro La Fenice, passa le vacanze invernali a Saint Moritz e quelle estive al Lido; suo figlio Giancarlo viaggia, va a Parigi, dove scopre la Pocket Chrono che sarà la sua passione, poi in America, dove si dedica alla fotografia.
La visione del mondo di Giovanni Stucky non è solo innovativa ma cosmopolita: sicuro che tutti debbano venir accettati per il valore che portano alla società, la ricchezza, l’innovazione, non chiederà mai la cittadinanza italiana; ma il suo vistoso successo, unito al suo essere ‘straniero’, saranno cause di gelosia che ne accelereranno la caduta e porteranno alla tragedia: il 21 maggio 1910 verrà ucciso con una rasoiata sotto gli occhi del figlio da un vecchio operaio del Molino, in quello che verrà indicato come assassinio politico.
Atto III: Giancarlo. Il declino e la caduta. Giancarlo non è un imprenditore come il padre; è il tipico giovane borghese dei suoi tempi, esuberante, pieno di idee, curioso di tutto e con la passione per l’arte e la tecnica. Gravato dal dolore e dalle responsabilità, farà del suo meglio per mantenere la ricchezza di famiglia. Ma i tempi sono cambiati. Durante la Prima Guerra Mondiale, Giancarlo, nell’impossibilità di arruolarsi in quanto cittadino svizzero, si preoccuperà di salvaguardare il patrimonio artistico della città, rifornendo al contempo Venezia e le truppe italiane, facendosi scudo della bandiera elvetica issata sul suo mulino. La fine della guerra troverà la famiglia indenne ma con ingenti perdite materiali. L’ascesa nel 1922 di Mussolini sarà l’inizio della fine per gli Stucky. L’elite veneziana, gli imprenditori, appoggiano il nuovo corso. Ma Giancarlo non è mai diventato cittadino italiano; non può quindi usufruire dei contributi statali per i danni di guerra; inoltre la nuova politica economica penalizza le esportazioni e le importazioni di grano dall’estero, costringendo gli Stucky alla chiusura delle sedi all’estero. Con le nuove direttive, il Molino non è più innovativo. Giancarlo perde tutto, virtualmente derubato da coloro che credeva amici, che riacquisteranno l’intero suo patrimonio.
La storia degli Stucky viene raccontata da Guillerme e Rabaté con rigore giornalistico, costruendola mattone dopo mattone, basandosi su diversi e rari materiali d’archivio; ma la scelta di proporla sotto forma di tragedia Shakespeariana, svolgendola in tre atti, la rende affascinante come un romanzo d’avventura. Un documentario preciso ed accurato, ma al contempo un’epopea industriale ed una saga familiare, che mostra un importante spaccato della nostra storia e della nostra società, lasciando spazio anche a diverse riflessioni.
Michela Aloisi