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Steve Jobs

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VOTO: 8.5

Io sono l’America

Chi è stato veramente Steve Jobs? Il biopic intepretato magnificamente da un Michael Fassbender che si impossessa del personaggio senza tuttavia imitarlo, offre risposte contrastate, lontanissime della classica agiografia pre-digerita made in Hollywood. Un visionario che ha fatto di tutto per veder realizzato il proprio sogno: quello della macchina – nella fattispecie il personal computer – che completasse in modo definitivo l’imperfezione congenita dell’essere umano. A tutto ciò egli ha dedicato la vita, calpestando chiunque ritenesse un potenziale ostacolo e spesso ignorando le esigenze finanziarie e non solo dell’individuo/cliente, cosa che gli ha fatto conoscere a più riprese l’acre sapore del fallimento progettuale. Il film Steve Jobs racconta di questa battaglia per molti versi impari, isolando l’esistenza del protagonista in tre significativi atti temporali (1984, 1988 e 1998) coincidenti con le presentazioni delle sue “creature informatiche”. Situazioni che si ripetono e dialoghi al limite dell’esplosione esistenziale. Il rapporto tempestoso con il sodale della primissima ora Steve Wozniak – che mette a confronto due visioni politiche e possibili all’interno degli Stati Uniti, l’anima imprenditoriale e quella progressista dell’unione che fa la forza – e quello con la figlia, inizialmente non riconosciuta perché un essere superiore così vicino alla perfezione informatica non può abbassarsi al misero livello delle passioni fisiche e della conseguente procreazione.
Per tutti questi motivi parte della critica ha sottolineato, come limite del lungometraggio, l’estraneità di fondo della regia di Danny Boyle ad un film che pare parto esclusivo della mano ispiratissima dello sceneggiatore Aaron Sorkin. Vero, ma è tutt’altro che un difetto. Perché, ancora una volta, il terzo biopic scritto da Sorkin dopo gli splendidi The Social Network (su Mark Zuckerberg, ideatore di Facebook) e L’arte di vincere (su Billy Beane, general manager della squadra professionistica di baseball degli Oakland Athletics) mette in scena la genesi travagliata del sogno americano, del metaforico sangue che scorre alla ricerca della sua realizzazione nonché di esistenze deputate esclusivamente non tanto alla fame di ricchezza quanto al raggiungimento del risultato finale. Con l’opinione su quest’ultimo concetto affidata non all’epilogo del singolo film bensì al giudizio oggettivo della Storia, quella che sarà scritta a mente fredda anni e anni dopo.
Steve Jobs mette dunque lo spettatore nella condizione ideale per formarsi un giudizio sul personaggio. Non è un documentario, ovviamente. Ma Sorkin – il quale non a caso esordirà a breve nella regia con Molly’s Game – immagazzina fatti sulla vita dello scomparso fondatore di Apple inc. per rielaborarli in un vortice incessante di parole e situazioni che esprimono alla perfezione la sua visione dell’uomo Jobs. Un’opinione che da soggettiva diventa oggettiva semplicemente per l’onestà di fondo nel descrivere le contraddizioni dell’uomo e dello sterminato paese in cui lui agisce, peraltro confinato in tre location simili a non luoghi futuribili. Se ne sono accorti anche i membri dell’Academy Awards, non candidando nemmeno una sceneggiatura tra le migliori del nuovo millennio: davvero troppe le stilettate verso la sterile virtualità dello show-business, nonché la condanna morale di una nazione comunque pronta a disconoscere le qualità delle sue menti migliori già proiettate verso un Futuro che a molti faceva e fa tuttora paura. Poiché lo status quo, quello che garantisce rientri economici e benessere anche solo per una minoranza, non può e non deve essere modificato.
Consigliamo dunque una seconda (o terza e quarta…) visione di Steve Jobs approfittando della sua uscita in home video per la Universal Pictures Home Entertainment. Peraltro arricchita da un comparto extra comprendente un ottimo ed esaustivo Making of – anch’esso, come il film, diviso in tre parti – colmo di rivelazioni interessanti sulla genesi pre-produttiva e la lavorazione di un’opera che non vorremmo rischiasse la medesima sorte del suo modello ispiratore, cioè l’incomprensione per manifesta profondità di istanze magari non troppo gradevoli sebbene altamente necessarie.

Daniele De Angelis

Steve-Jobs-BD-coverSteve Jobs
Regia: Danny Boyle USA, 2015 Durata: 122′
Cast: Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen
Lingue:Inglese Digital Surround 5.1, Italiano Digital Surround 5.1
Sottotitoli: Lingue varie  Formato: High Definition Letterbox 2.40:1
Extra: Making of (tre parti), Commento al film di Danny Boyle e Aaron Sorkin
Distribuzione: Universal Pictures Home Entertainment

 

 

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