Red rum
“Oggi la tua piccola Aimée scodinzola in cielo, pensando a te.”
Così, con una cartolina destinata ad essere recapitata ogni anno a uno dei protagonisti in ricordo dell’amata, ridotta per l’eternità a rimembranza di animale domestico, Evelyn Waugh chiudeva nel 1948 il suo The Loved One (Il Caro Estinto), satira su quell’America e Hollywood cronicamente incapaci di convivere col concetto di decadenza fisica, di bruttezza, di escludere l’apparenza come unica via di vita. La morte, della bellezza e non, va celebrata come un cane.
Ci è impossibile chiedere a Nicolas Winding Refn se conosce il romanzo di Waugh, tantomeno se ne è stata un’influenza (improbabile, ma chissà); ma se, come insiste il suo creatore, The Neon Demon è una commedia, dobbiamo prendere questa sua convinzione con grande serietà.
Ad esempio i detrattori non solo lusingherebbero il regista dicendo – come dicono – che il film è un lunghissimo spot di un profumo, ma direbbero – dicono – pure la verità: il NWR stiloso a mo’ di marchio nei titoli di testa sta lì a indicarlo e il finale nel deserto È uno spot di un profumo, con tanto di Sia che canta versi immortali come “una mano tiene la tua mentre l’altra dice addio”. D’altra parte Refn ha affermato di essere attratto dai profumi perché stimolatori del subconscio. Ma torniamo seri: rimaniamo alla commedia.
Come accettare altrimenti il fatto che in 36 anni nessuno aveva capito che Danny, scrivendo REDRUM con un rossetto, intendeva proprio una tonalità di rossetto? E il rossetto rosa fica, oggetto di discussione a inizio film, venderebbe? E che l’Overlook Hotel, nel passaggio a Overlook Motel (con insegna al neon, si capisce!), diventa parecchio strano non nella stanza 217 (o 237, che dir si voglia), ma nella 212? E perché, nel botta e risposta “sei cibo o sei sesso?” “lei è il dessert, perché è così dolce” c’è tutto il film, dopo neanche 10 minuti dall’inizio?
Perché The Neon Demon è innanzitutto un gioco, un’opera che dice tutto sin dall’inizio (la prima battuta è “ti senti osservata?”, rilevando l’essenza filosofica della pellicola), ma che non si rivela mai pienamente.
Al pari dei grandi oggetti cine-feticistici dell’alterazione (della RIVELAZIONE) della realtà, come il monolite nero e la scatola blu, il pubico triangolo rosso e blu partorisce. A partire dalla filmografia del suo creatore.
Dopo numerose violente manifestazioni di cromosoma XY e dopo tanto recente neon maschile (1–2), l’utero al neon sancisce una nascita, quella del Refn femminile (“c’è una sedicenne in ogni uomo”), tanto che per la prima volta ha collaborato con un direttore della fotografia donna, l’ottima Natasha Braier (con la quale aveva già lavorato nello spot Hennessy, vero e proprio banco di prova per il demone al neon), lasciando a casa gli abituali Morten Søborg e Larry Smith. Talmente femminile che le figure maschili presenti nel film sono ridotti a meri tipi, sagomati predoni impotenti (comunque meravigliosa l’interpretazione di Keanu Reeves che, capita la non anima del personaggio, ne delinea i contorni con immensa classe e inventiva). Il mondo è donna, finalmente. E le risposte non possono che essere complesse e parziali.
Le citazioni cinematografiche stanno lì per chi le cerca – Eva contro Eva, la piscina e il suo simbolismo sanno tanto di Tre Donne, la bionica Bella Heathcote ricorda la marziana Lisa Marie di Mars Attacks!, il nome dello stilista Sarno è un omaggio a Joe Sarno, regista cult dei sexploitation 60s, il look di un incredibilmente magro Desmond Harrington si rifà a Nosferatu e Jena Malone/Ruby è palesemente Kathleen Byron/Suor Ruth (red rum!) – ma questo specifico gioco è noioso come le accuse di vecchia data rivolte a Refn (e qui per forza di cose alla massima potenza), quelle di formalismo.
Ben lungi dall’essere un narcisista della ripresa, oltretutto in un film che ha nel narcisismo il punto focale, Refn usa l’estetica in maniera pienamente funzionale. Geniale ad esempio è l’amplificazione in post produzione del suono dei tacchi nella scena dei provini e della pelle dei pantaloni di Elle Fanning in quella in albergo, di per sé un omaggio tableau vivant a Guy Bourdin (volete qualche esempio?): se nella prima l’eco della camminata è stata creata per sottolineare la sensazione di carne al macello, di pura mercificazione del corpo, di carcasse dell’appagamento visivo altrui che vanno ad annullarsi se non soddisfacenti, nella seconda si sancisce la trasformazione di moja sestra Jesse da bimba a lolita felina, da donna a puma. Così come la semi-onnipresenza del lens flare sta a indicare che tutta la realtà di The Neon Demon è realtà dello sguardo, al punto che non può essere contenuta, tantomeno fermata.
In tanta, tracotante forma, dimenticarsi di narrare e porre domande era un rischio non da poco, che Refn ha però rifuggito in pieno. Perché nel triangolo demoniaco Ruby-Sarah-Gigi, con al centro Jesse (tutte sorprendentemente bravissime, ma la Malone si gioca l’interpretazione che vale una carriera), cova l’essere umano e il suo più intimo sentimento: quello di vivere in funzione dello sguardo altrui. Ruby, Sarah e Gigi, le tre Parche Vogue, giocano con il filo della vita non conoscendone le caratteristiche, né le conseguenze. Improvvisano annusando il sangue.
Il desiderio è morte, la morte è desiderio (di chi è la fantasia necrofila, di Ruby o di Jesse?) e il rituale ancestrale conclusivo, con esiti così diversi per le tre sacerdotesse, esplode nella rivelazione filosofica del film: rinascita, con le mestruazioni al chiaro di luna (la luna-occhio, madre di Jesse); morte, con il rigetto della bellezza “pura”; nuova vita, con l’assimilazione dello sguardo.
The Neon Demon mette il sale sulla nostra patinata ferita di ideali che vivono morti nel fotoritocco, nella proposizione bulimica di standard inesistenti e per questo irraggiungibili (ed eternamente bramati). Lo stesso film, girato in digitale e pieno di operazioni di post produzione, è paradiso artificiale, carne dei sogni, Dio Adobe.
Refn ha in fondo espresso in immagini quanto scritto in forma di saggio da Christopher Smit in The Exile of Britney Spears – A Tale of 21st Century Consumption: noi mangiamo ciò che NON siamo. E se come diceva il caro, vecchio Hannibal Lecter, noi desideriamo ciò che vediamo, quale certezza possiamo avere che ciò che vediamo, noi necrofili per vivere, È?
L’augurio è che la morte non contagi anche la libertà di Refn nella continua ricerca di nuove strade: se si esclude la debacle Valhalla Rising, The Neon Demon è il più grande insuccesso commerciale del regista danese, non avendo coperto nemmeno la metà dei 7 milioni di dollari spesi (dati Wikipedia). I tempi di Drive sono lontani e forse è qui mancata una stella catalizzatrice – e politicamente pesante – com’era stato Ryan Gosling nelle ultime due pellicole.
Ma se suicidio (senza canto) del cigno si rivelerà, la bellezza rimarrà impressa a lungo: potremmo essere in grado di non vomitare l’occhio, tenendolo dentro di noi.
(è una commedia)
(è uno spot (red rum!))
(è un profumo (red rum!))
COMMENTO ALL’EDIZIONE BLU RAY MIDNIGHT FACTORY
In un anno e mezzo Midnight Factory è riuscita a diventare una stella dell’homevideo italiano. Partendo in sordina, con la dovuta cautela, offrendo film (come Zombeaver e All Cheerleaders Die) gustosi ma di certo non classici del futuro, ha progressivamente alzato l’asticella della qualità, sia nei titoli proposti che nei dettagli tecnici e più puramente fetish-estetici. Ora è una realtà che sta ottenendo interesse e gradimento anche fuori dai confini nazionali (vedasi l’imminente cofanetto di Zombi di Romero, atteso anche da sua teschiosità Bloody Disgusting).
Anche qui la qualità tecnica rasenta la perfezione che fotografia e colonna sonora richiedevano, esagerando stavolta nel reparto extra, soprattutto se si provvederà all’acquisto della (bellissima) steelbook, contenente un secondo disco esclusivo.
Fiori all’occhiello del primo disco sono il commento audio di Refn e la Fanning, divertiti e in sintonia a raccontare dietro le scene e interpretazioni del film, e una corposa intervista al regista, che si conferma non solo un grande cineasta ma anche una mente brillante e particolarmente acuta. A tratti simpatica ma non troppo riuscita invece la masterclass Sky – andata in onda lo scorso giugno – moderata da Gianni Canova e abbastanza grottesca nella sua parte finale, quella che ha visto coinvolto uno spento Dario Argento.
Il secondo disco è qualitativamente a due facce: se il making of è di fatto una featurette inconsistente e la conversazione con Refn e Jodorowsky è un tantinello autoreferenziale (delizia perfida però è la sputata di veleno su Spielberg da parte dello stregone cileno), molto godibili sono l’altra conferenza stampa con Refn, dal sapore retrospettivo, e l’intervista al musicista Cliff Martinez, uno dei due collaboratori feticcio della recente produzione di Refn, assieme al montatore Matt Newman (Martinez da Drive, Newman da Bronson).
Tra i grandi autori contemporanei Refn ha avuto sempre un trattamento di riguardo da parte della nostra distribuzione macellaia e cieca – gran parte della sua filmografia ha visto la luce anche da noi ed è disponibile nel nostro mercato home video – ma nessun suo film può godere della qualità che ha trovato The Neon Demon. Solo in Germania l’offerta – sempre curata da Koch Media – supera la nostra, con un’edizione 4k e una steelbook 4 dischi, comprendente anche il cd della colonna sonora. Volendo trovare due difetti, segnaliamo l’impossibilità di vedere il film in lingua originale senza l’obbligo della visualizzazione dei sottotitoli e, soprattutto, la non felicissima scelta di sovrapporre i due dischi nel lato destro della steelbook, costringendo a estrazioni funamboliche per il secondo blu ray.
Ma il giudizio non cambia: la fabbrica di mezzanotte comincia a viziarci davvero.
Disco 1
- Lingue Italiano 5.1 DTS-HD Master Audio, Inglese 5.1 DTS-HD Master Audio
- Sottotitoli Italiano (sia film che extra)
- Durata 118 minuti circa
- BD-50
- Aspect ratio 2.35:1
- Storytellers – Lo scandalo Nicolas Winding Refn (22’40”)
- La bellezza del demonio – Conversazione con Nicolas Winding Refn (34’25”)
- Photogallery (2’12”)
- Commento audio del film di Nicolas Winding Refn ed Elle Fanning
- Trailer (1’31”)
Disco 2 (esclusiva dell’edizione steelbook)
- Lingue Inglese 2.0 DTS-HD Master Audio
- Sottotitoli Italiano
- Durata 85 minuti circa
- Black box con Nicolas Winding Refn (38’53”)
- Making of (3’36”)
- Intervista a Cliff Martinez (23’43”)
- Nicolas Winding Refn & Alejandro Jodorowsky – Conferenza stampa al Monaco Film Festival 2013 (21’51”)
– Booklet con commento critico di Manlio Gomarasca e Davide Pulici, fondatori di Nocturno
Riccardo Nuziale