I dolori della giovane Maria
La regista franco-iraniana (ma tedesca d’adozione) Emily Atef è da sempre appassionata di tormentate figure femminili. Basti pensare, ad esempio, al suo ritratto dell’indimenticata Romy Schneider nel lungometraggio Three Days in Quiberon, presentato in concorso alla Berlinale 2018. Per quanto riguarda questa 73° edizione del festival di Berlino, invece, la cineasta – rimanendo fedele alla sua poetica – ha deciso di presentare – sempre in corsa per il tanto ambito Orso d’Oro – Someday We’ll Tell Each Other Everything, tratto dal romanzo “Irgendwann werden wir uns alles erzählen” di Daniela Krien e in cui, appunto, grande importanza viene data alla magnetica, giovane protagonista.
Tutto si svolge nell’estate del 1990, in un piccolo villaggio rurale situato vicino a quello che era il confine tra Germania Occidentale e Germania Orientale. Maria (impersonata dalla talentuosa Marlene Burow) ha diciannove anni, vive a casa dei genitori del suo ragazzo Johannes (Cedric Eich), è appassionata di letteratura e ancora non sa cosa voglia dalla vita e quale sia il suo reale posto nel mondo. Le cose prenderanno una piega del tutto inaspettata nel momento in cui la ragazza inizierà una relazione clandestina con Henner (Felix Kramer), un vicino di casa del suo ragazzo, che ha circa vent’anni più di lei.
Ed è proprio sulla tormentata relazione tra i due protagonisti e, nello specifico, sui dubbi e i conflitti interiori di Maria che Emily Atef si è principalmente concentrata in questo suo Someday We’ll Tell Each Other Everything. La macchina da presa si sofferma frequentemente sui primi piani della ragazza, prestando altrettanta attenzione agli incontri amorosi tra i due, al fine di conferire all’intero lungometraggio uno spiccato erotismo. Peccato soltanto che, a tratti, la regista si perda in eccessive lungaggini, rendendo il tutto pericolosamente forzato e stucchevole, facendo perdere la storia di spessore e – ahimé! – suscitando anche qualche risatina di troppo persino nello spettatore più appassionato.
La relazione tra Maria ed Henner prende prepotentemente il sopravvento su tutto il resto e viene spesso esasperata in modo talmente ridondante da far perdere parecchi punti all’intero lungometraggio. A scapito, purtroppo, di interessanti spunti iniziali e persino di un’ambientazione che, in sé, ha indubbiamente molto potenziale (solo di rado, ad esempio, si accenna al crollo del Muro di Berlino, così come ai cambiamenti a cui la Germania Orientale stava andando incontro).
Ma se tale senso di spaesamento provocato dal crollo di precedenti certezze va di pari passo con il senso di spaesamento provato dalla stessa Maria, decisamente più debole è il parallelismo fatto tra la storia della protagonista (e della famiglia del suo ragazzo) con il capolavoro di Fëdor Dostoevskij “I Fratelli Karamazov”, dove i tormenti d’amore dei personaggi sembrerebbero quasi ricordare quelli dei protagonisti di questo ultimo lavoro della nostra regista berlinese.
Tante forzature, dunque, per un lungometraggio in cui, nonostante una meticolosa cura nei confronti delle immagini, dei paesaggi e dei corpi umani, manca, di base, la sostanza. Emily Atef si è avventurata in un percorso tutt’altro che facile perdendosi irrimediabilmente per strada. Questo suo Someday We’ll Tell Each Other Everything vorrebbe comunicare molto, ma manca pericolosamente di mordente. Peccato.
Marina Pavido