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L’ultima notte di Amore

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VOTO: 9

Come tener fede all’idea(le)

Se osservate la locandina de L’ultima notte di Amore di Andrea Di Stefano vi renderete conto di come prima della visione la vostra attenzione si focalizzi, in particolare, sullo sguardo di Favino, come se vi ‘interpellasse’. Se ci ripensate dopo aver assistito al film, è come se quelle lettere, talvolta accennate e che in parte entrano nel primo piano, siano già un indizio di come il fuori possa ‘irrompere’ nelle vite e che un uomo possa ‘lacerarsi’ rincorrendo ideali – e non – e avere delle ombre. Di Franco Amore (un Favino che ancora una volta suona altre note, creando echi e lavorando molto con sguardo e corpo) tutti pensano positivamente. Lo conosciamo in procinto di lasciare il lavoro a cui si è dedicato per una vita: è un poliziotto che in 35 anni di onorata carriera non ha mai sparato a un uomo. Il momento della pensione arriva, eppure come un gioco delle carte (ben sistemato sul piano della sceneggiatura – curata sempre da Di Stefano – e della messa in scena), tutto appare a noi spettatori in un modo, fino a quando cambiano le prospettive e pian piano i tasselli si uniscono, ma mai in un modo banale.
Il titolo è un gioco di parole e significati che vi lasciamo scoprire man mano che vi addentrate nella storia; ciò che possiamo e vogliamo dirvi è di non ‘spaventarvi’ per la durata, si toccano punte di ritmo molto alte, ci si ritrova implicati con Franco Amore e a empatizzare anche con altre persone (compresa Daria interpretata da Camilla Semino Favro di cui non sveliamo il ruolo).
Nella notte prima del discorso di pensionamento, tutto viene messo a rischio: il lavoro da servitore dello Stato, il grande amore per la moglie Viviana (innamorata del marito, ma impregnata anche di una certa cultura. La incarna Linda Caridi), l’amicizia con il collega Dino (Francesco Di Leva), la sua stessa vita. Ogni spettatore sentirà l’adrenalina del camminare sul filo del rasoio, l’essere spaesato di fronte a un fatto ‘non calcolato’, che porta il nostro protagonista a mettere in discussione l’onestà di essere umano e gli ideali portati avanti fino a quel momento. Davanti a un poliziesco così ottimamente costruito, la nostra scelta è anche quella di non spoilerare dei punti di svolta. Va dato atto al regista di Escobar di averci mostrato (sin dall’inizio con la panoramica dall’alto girata in elicottero) una Milano in cui persino la luce artificiale sembra mancare. Le macchine corrono, l’adrenalina sale e poi qualcosa o qualcuno stoppa bruscamente il tutto, forse perché il limite era già stato superato?
Di Stefano trasmette una padronanza dello strumento cinematografico, non solo come tecnica di ripresa, ma anche nella costruzione della vicenda e nel dirigere gli attori (con cui immaginiamo abbia instaurato un dialogo molto costruttivo per non lasciare nulla della loro interpretazione al caso). «Ho sempre immaginato questo film come un film d’altri tempi, sia per fabbricazione che per narrazione, e con l’obiettivo ultimo di raccontare la storia del suo protagonista come una parabola religiosa. Un avvertimento a tutti quelli che pensano di tradire la propria natura per il miraggio di una vita migliore. Le scorciatoie morali non sono per tutti, alcuni riescono a farla franca, persone come Franco Amore non sono tagliati per queste soluzioni avventurose. Volevo fare un poliziesco realistico ambientato nell’Italia contemporanea, ispirato dall’amore per i film di Kurosawa ed affascinato dai meccanismi tensivi di Hitchcock» (dalle note di regia) e possiamo riconoscergli di esserci riuscito. Non ha puntato in alto per poi cadere, anzi, incolla gli sguardi della platea di turno allo schermo avendo presente l’amore per questi maestri e, al contempo, percorrendo la propria strada. Favino lavora molto in sottrazione, sono soprattutto il suo corpo e i suoi occhi a parlare, anche quando ci sono da prendere determinate decisioni. Riempie lo schermo senza mai strabordare e i suoi compagni d’avventura sono di qualità in questo viaggio verso l’abisso, a tratti giocato sull’ambiguità… il nero della notte a cui si aggiungeranno altre sfumature.
Presentato al 73º Festival Internazionale del Cinema di Berlino nella sezione Berlinale Special Gala, dal 9 marzo è nei nostri cinema e vi consigliamo di vederlo al cinema per come rende sul grande schermo sia sul piano visivo che del lavoro sul suono.

Maria Lucia Tangorra

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