La polvere sotto il tappeto
Fare animazione in Italia si sa non è produttivamente e distributivamente cosa semplice, come altrettanto complicato è riuscire a portare sullo schermo film o documentari d’inchiesta che trattino eventi o figure dal peso specifico elevato, a maggior ragione in un Paese la cui storia è piena zeppa di pagine nere scritte con il sangue di innocenti o valorosi, lasciate troppo spesso senza la firma del mandante o del carnefice di turno. Figuriamoci se un giorno a qualche regista nostrano venisse la malaugurata idea di mettere in cantiere un’opera nel cui DNA convergessero le suddette modalità. Se ciò dovesse in un modo o nell’altro miracolosamente avvenire, allora sul progetto in questione graverebbero gli ostacoli legati a entrambi i processi creativi.
In merito ne sa qualcosa Marco Giolo, temerario cineasta nostrano che nel 2017 è riuscito a portare a termine la lavorazione del mediometraggio Somalia94 – Il caso Ilaria Alpi, presentato come film d’apertura della 16esima edizione di Imaginaria. E per farlo ci sono voluti quattro lunghissimi anni in cui l’autore ha potuto contare quasi esclusivamente sulle sue forze. Basta, infatti, scorrere i titoli di coda per renderci conto su quale misero e praticamente inesistente apporto esterno abbia potuto contare l’autore in fase di produzione. Il fatto di vedere nei credits più volte e in più vesti il nome di Giolo impegnato in prima persona nelle diverse fasi di lavorazione, dalla regia sino alle musiche, è la dimostrazione evidente di quale sforzo sia stato da lui profuso per mettere finalmente la parola fine. Una condizione di completa indipendenza, questa, non voluta ma imposta all’autore a causa dei ripetuti rifiuti da parte di emittenti o di Istituzioni a elargire quei contributi necessari alla messa in opera del progetto. E se quei rifiuti sono arrivati in primis dalla Rai che, oltre ad avere nei confronti dei protagonisti del film e della loro memoria dovrebbe avere un dovere quantomeno se non etico almeno morale, la restituzione al mittente è per quanto ci riguarda ancora più grave. Venendo meno, infatti, ha perso una doppia opportunità: quella di rendere il giusto tributo a dei grandi giornalisti che con la Rai hanno lavorato e quella di quest’ultima di svolgere il proprio compito di servizio pubblico.
Detto questo, nonostante la scalata impervia, Giolo ha completato l’opera che, indipendentemente dalla sua riuscita oppure no, va comunque sostenuta e apprezzata per il solo fatto di esistere. Somalia94 è prima di tutto un atto di coraggio e resistenza, che va di pari passo con i valori espressi sul campo dalle figure alle quali il film è dedicato, ossia la giornalista e fotoreporter del TG3 Ilaria Alpi e il cineoperatore Miran Hrovatin, assassinati a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 mentre provavano a indagare sul traffico di rifiuti nei paesi del terzo mondo e sugli interessi economici legati alle guerre e al traffico di armi. Se da un lato la mancanza di un appoggio e di basi economiche sulle quali contare hanno pesato sulla lavorazione, dall’altro il regista ha potuto godere di una grande libertà creativa e contenutistica, quella che probabilmente sarebbe stata fortemente messa in discussione da una serie di paletti imposti da eventuali finanziatori statali. Somalia94 è quindi un film libero e, in quanto tale, libero di raccontare fatti e personaggi reali basati su testimonianze e documenti, potendo anche avanzare ipotesi più o meno vicine a una verità negata quando il regista (e tanti come lui che se ne sono occupati a vario titolo) si è trovato a fare i conti con l’assenza di prove e materiali sulla tragica vicenda. L’argomento scottante al centro del film è probabilmente il motivo di tale e ingiustificata assenza, che appare ancora più ingiustificata visto che sulla vicenda e sui suoi protagonisti sono state spese intere pagine ed è già stata realizzata una pellicola nel 2003, ossia Ilaria Alpi – Il più crudele dei giorni di Ferdinando Vicentini Orgnani. Ma evidentemente la ferita è ancora aperta e sanguinante, con il solo parlarne che innalza barricate e muri di gomma da parte dei poteri forti che hanno tutti gli interessi a tenere la polvere ben nascosta sotto il tappeto. Giolo con il suo mediometraggio quel tappeto lo ha alzato, così come il lavoro della Alpi in vita e di riflesso dopo ha svelato certi machiavellici meccanismi a livello planetario, scoperchiando un vero e proprio vaso di Pandora.
In una quarantina di minuti circa, la pellicola racconta le ultime settimane di vita della Alpi e di Hrovatin, dei loro spostamenti tra l’Italia e la Somalia, le loro ultime interviste, fino alla commissione d’inchiesta del 2006. Nel mezzo ovviamente l’agguato che ha messo fine alle loro esistenze. Sullo script e sulla timeline poi l’inchiesta e l’animazione si incontrano come mai prima nella nostra cinematografia, creando così un precedente che speriamo abbia dei seguiti. La tecnica del disegno digitale in bi e tridimensionalità adoperata si fa qui strumento per trasformare in immagine l’orrore di uno dei tanti misteri dei quali dopo anni conosciamo solo il braccio, ma non ancora chi l’ha armato.
Giolo costruisce frame dopo frame un inno al coraggio che vuole essere anche un dito puntato contro qualcuno e qualcosa di celato e tentacolare. Un’opera di denuncia che coinvolge e appassiona, ma allo stesso tempo fa riflettere e inorridire il fruitore, alle prese con qualcosa che è lontano anni luce dal mero intrattenimento ludico. Le sequenze animate dei conflitti a fuoco tra i clan o gli eserciti contrapposti fra le strade somale e l’agguato ai due giornalisti sono fotogrammi che lasciano il segno, rappresentando i picchi emotivi e ritmici più elevati di un’operazione che potrà avere anche dei limiti, delle fragilità e dei difetti in alcune parti della confezione, ma anche altrettanti pregi che ne spingono il risultato finale al di sopra della soglia della sufficienza.
Francesco Del Grosso