Il silenzio è d’oro in Finlandia
“E se nel futuro il cinema fosse muto?”, questa è la scritta che campeggia sulla locandina di Silent Trilogy, il film del finlandese Juho Kuosmanen inserito nel progetto di distribuzione “Il Cinema Ritrovato al cinema” che il 5 maggio scorso ha cominciato a girare per la penisola, grazie a questa illuminata iniziativa che vede la Cineteca di Bologna ancora una volta protagonista. Noialtri non potevamo certo mancare la prima tappa del tour fuori Bologna, che ha avuto luogo proprio in quel “manzoniano” 5 maggio presso il Cinema Quattro Fontane di Roma.
Ci tenevamo davvero ad esserci. Sia perché alla proiezione avrebbe presenziato anche l’autore, il cui talento ci è noto sin da Scompartimento n. 6 – In viaggio con il destino (Hytti nro 6, 2021), eccentrico “road movie artico” che scorrendo etereo sui binari del treno, in Russia, approdava senza troppi sforzi a una certa profondità esistenziale; sia perché l’idea così poco praticata di film muto contemporaneo non soltanto ci intriga parecchio, ma pare avere nella stessa Finlandia il proprio habitat naturale. Come dimenticare infatti Juha di Aki Kaurismäki, elegia muta e in bianco e nero datata 1999? Ecco, a un così singolare film a episodi come Silent Trilogy ci si è arrivati magari per altre vie, a tappe e con ogni segmento narrativo realizzato in un periodo diverso, come ha dichiarato in sala il regista, ma Juho Kuosmanen pare comunque riprendere la filosofia che animava i primissimi film del mentore Kaurismäki, quanto meno per le trovate stranianti e per quell’umorismo raggelato, surreale e un po’ folle.
Tre gli episodi che vanno a sovrapporsi l’uno sull’altro, come dicevamo, complice il reiterato impiego di alcuni attori non protagonisti dalle memorabili espressioni fisiche e facciali. Il regista li ha scovati tutti a Kokkola (nome alquanto “evocativo” nella lingua italiana, motivo per cui non è stato incluso dalla nostra distribuzione nel titolo completo del film, come hanno potuto fare invece altri paesi), la cittadina di cui è originario l’autore stesso. Il primo episodio, intitolato Romu- Mattila e la donna bellissima, risale addirittura al 2012 e più in particolare al momento in cui Kuosmanen venne a sapere della grottesca situazione cui era andato incontro un compaesano, non propriamente amato in città a causa degli atteggiamenti scostanti e bizzarri, costretto in pratica ad abbandonare la casa da leggi applicate in modo assurdo e persecutorio.
Da tale aneddoto Kuosmanen ha tratto un apologo ironico, lirico ma anche piuttosto sferzante sul piano sociale, che pone in qualche modo le basi della poetica personalissima di Silent Trilogy: un bianco e nero filologicamente attendibile ma dai contorni anche ruvidi; didascalie impregnate di un umorismo acido e spiazzante che dialoga in modo spesso inaspettato col contenuto delle singole scene; e un uso ancora più spregiudicato delle tracce sonore, laddove il film resta muto per quanto concerne i dialoghi ma si concede rumori ambientali e altre sonorità, potenzialmente (e paradossalmente) in disaccordo con l’assunto iniziale dell’opera.
Insomma, il regista finlandese ha voluto realizzare un film muto oggi, ma non per mero esercizio stilistico o per portare avanti un’operazione nostalgica e filologicamente ineccepibile, bensì per ricontestualizzare quel cinema di oltre un secolo fa in una cornice creativa più ampia, più disinvolta, che assorba anche altri impulsi creativi. Ciò è ancora più chiaro se si pensa al secondo episodio realizzato nel 2017, I distillatori, che si ispira liberamente a uno dei primi film muti finnici andato poi perduto, diventandone strada facendo una picaresca parodia, centrata com’è sul culto profano dell’alcol così diffuso nella nazione scandinava. E se qualcuno volesse farsi un’idea di come possa essere sentita ancora oggi, nel cinema finlandese, una tematica simile, consigliamo il recupero di 100 litres of Gold del non meno irriverente Teemu Nikki…
Il capolavoro risulterebbe comunque soltanto sfiorato, in Silent Trilogy, se l’autore non avesse deciso nel 2023 di chiudere il cerchio con un episodio, intitolato Un lontano pianeta, dove l’idea della perdita e del forzato distacco diventa, per una coppia anziana del luogo che vive e lavora in un faro, il presupposto di un’avventura cosmica messa in scena con artigianale fantasia; un impianto estetico decisamente naïf, quindi, che ingloba anche rudimentali animazioni, la farsesca rivisitazione delle classiche missioni spaziali e un’originale omaggio a Méliès, a Verne, a Aelita: Queen of Mars di Yakov Protazanov, come pure ad altri capisaldi dell’immaginario fantastico. Chapeau!
Stefano Coccia









