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Scompartimento n. 6

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VOTO: 8

A lunga percorrenza

Poggia su equazioni esistenziali piuttosto semplici – ma al contempo di insondabile profondità – un’opera cinematografica come Scompartimento n. 6 del regista finlandese Juho Kuosmanen. Viaggiare è incontrare, incontrare è conoscere, conoscere è conoscersi.
Laura è una ragazza finlandese che studia a Mosca, dove ha una relazione con una donna di poco più grande di età. Il suo sogno è recarsi a Murmansk, nell’estremo nord russo, ad osservare i petroglifi, le prime incisioni su roccia conosciute, risalenti ad un periodo di circa diecimila anni addietro. Tuttavia Irina, la sua compagna moscovita, è trattenuta nella capitale per motivi di lavoro e non può accompagnarla. Laura, piuttosto riluttante, decide comunque di intraprendere il lungo viaggio da sola, prendendo un treno che impiegherà giorni e diverse tappe prima di giungere a destinazione. Nel suo scompartimento conosce Vadim, ragazzo russo che deve raggiungere la medesima meta per motivi di lavoro. Il primo approccio tra loro è da dimenticare: lui è palesemente ubriaco e si rivolge a Laura con frasi offensive. Il tragitto sarà lungo, in moltissimi sensi ben oltre la distanza fisica.
Dopo la presentazione in Concorso al Festival di Cannes 2021 Scompartimento n. 6 approda nelle sale italiane ed il consiglio è di non perderlo. Perché Kuosmanen – che ha tratto il film dal romanzo omonimo di Rosa Liksom prendendosi diverse licenze poetiche – cerca il realismo e lo trova senza difficoltà, non solamente nell’estrema spontaneità dei due protagonisti (i bravissimi Seidi Haarla, nella parte di Laura, e Yurij Borisov in quella di Vadim) ma anche nel ritratto d’insieme, una Russia invernale e scarna in cui il freddo climatico si rispecchia nella rarefazione dei rapporti umani, quasi sempre schermati da una sorta di diffidenza precostituita. Il film di Juho Kuosmanen altro non è, e nemmeno pretende di essere, che la cronaca fedele della rottura di tale, invisibile, barriera. Una prima crepa qui e là, fino al compimento di un percorso di conoscenza tra due persone teoricamente situate agli ingannevoli, è perciò cangianti, opposti. Convergenze che invece si materializzano semplicemente assecondando la spinta del cuore, attraverso quei percorsi limpidi e al contempo misteriosi che forniscono alla vita una autentica ragione d’essere. E alla Settima Arte la possibilità di mettere in scena uno spettacolo, quello dell’empatia tra due personaggi lontani ed estranei, dai riflessi simbolici sempre diversi. Allo scopo di facilitare il raggiungimento di tale risultato il cineasta finnico – reduce dagli allori mietuti nel 2016 con l’ottimo La vera storia di Olli Mäki, girato in un folgorante bianco e nero – opta per una messa in scena all’insegna del massimo mimetismo, con abbondanza di macchina a mano ad aumentare la percezione di realismo ed al contempo a sottolineare i mutevoli stati d’animo dei personaggi. Facendo sì che la storia riesca ad evolversi con la massima naturalezza, evitando emozioni sentimentali troppo studiate a tavolino ma anzi continuando senza sosta ad interrogarsi sui misteri irrisolvibili dell’attrazione. Quella capace di superare persino gli orientamenti sessuali di partenza per approdare ad una benvenuta universalità del concetto di amore.
In Scompartimento n.6 non c’è traccia del dolceamaro surrealismo similfiabesco orgogliosamente sbandierato dal connazionale Aki Kaurismäki nel cinema che lo ha reso giustamente celebre; stavolta è il turno della ruvida realtà a penetrare lo sguardo di spettatori ormai poco abituati ad assistere ad un’opera cinematografica del tutto priva di mediazioni spettacolari di sorta. Un “altro” cinema del quale si sente sempre più forte il bisogno, a maggior ragione oggi, in un presente continuamente viziato da false emozioni indotte.

Daniele De Angelis

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