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Siberia

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VOTO: 6

Che il viaggio abbia inizio

Jean-Pierre Léaud e François Truffaut. Marcello Mastroianni e Federico Fellini. Johnny Depp e Tim Burton. Willem Dafoe e Abel Ferrara. Già, anche loro due. Tutte queste coppie sopra menzionate sono, come ben si può notare, formate da attori considerati dei veri e propri alter ego di determinati registi, per un gran numero di collaborazioni che hanno dato vita, nel corso degli anni, a lungometraggi indimenticabili. E, per quanto riguarda la coppia formata da Willem Dafoe e il regista Abel Ferrara, essa ha trovato una sua definitiva consacrazione proprio in Siberia, ultima fatica del cineasta di New York, in corsa per l’Orso d’Oro alla 70° edizione del Festival di Berlino. Una definitiva consacrazione che vede, appunto, Willem Dafoe protagonista di uno dei lungometraggi più intimi e autobiografici di Ferrara, in cui lo stesso indaga sul suo passato, sul rapporto con suo padre, sulle sue relazioni interpersonali e, non per ultimo, anche sul presente, per un lungo viaggio che – proprio come il titolo sta a suggerire – prende il via da una piccola locanda dispersa nelle immense distese innevate della Siberia.

Qui, dunque, vive e lavora Clint, un uomo che ha voluto definitivamente rompere con il suo passato e che da anni ha deciso di isolarsi completamente dal resto del mondo, scambiando solo qualche parola di quando in quando con gli abitanti del luogo che vanno a prendere da bere da lui. Ma sarà davvero così semplice trovare una propria serenità e dimenticare completamente tutto ciò che è avvenuto prima? Oppure il passato è, in realtà, sempre pronto a tornare?
Da sempre affascinato dall’onirico, dal metafisico, da Dio e da tutto ciò che possa, in qualche modo, condurre alla verità assoluta, Abel Ferrara ha trovato in questo suo Siberia decisamente pane per i suoi denti. Eppure, si sa, non è affatto facile portare a compimento un’operazione del genere senza “perdersi per strada” o strafare. Se, infatti, ripensiamo per un attimo alla lunga e prolifica carriera del regista, notiamo come, di fianco a lavori entrati a far parte di diritto della storia del cinema, vi sono, purtroppo, anche prodotti che hanno fatto storcere il naso a molti e che, comunque, hanno diviso parecchio. Questo, ad esempio, è il caso del controverso Pasolini (realizzato nel 2014 e con protagonista lo stesso Willem Dafoe). Ma se, al contempo, l’ultimo Ferrara, malgrado i diversi scivoloni, si è rivelato comunque particolarmente abile e accattivante in ambito documentaristico, ecco che, con il presente Siberia – lungometraggio di finzione – sembra che il regista si sia lasciato un po’ troppo trasportare dalle emozioni personali, al punto che l’intero lavoro gli sia troppo spesso sfuggito di mano.
Sia ben chiaro, questo ultimo lavoro di Ferrara di elementi interessanti ne ha eccome. Basti pensare anche solo ai numerosi momenti di grande impatto visivo ed emotivo presenti al suo interno (vedi, su tutto, la scena in cui un’anziana signora viene attaccata dai cani del protagonista o quando quest’ultimo incontra dapprima tutte le donne con cui ha avuto una relazione e, infine, sua madre). Eppure, nel complesso, il presente Siberia non convince del tutto. A poco, dunque, servono i momenti di velata ironia – riguardanti principalmente i dialoghi tra il protagonista e suo padre – a poco servono magnetici giochi di luci e ombre e personaggi dai richiami (non troppo) vagamente lynchani. Da un cineasta del calibro di Abel Ferrara, ci sarebbe potuto aspettare molto ma molto di più. Peccato.

Marina Pavido

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