L’insostenibile incompiutezza
Chi era veramente Pier Paolo Pasolini? Domanda di sicuro legittima, che lo stesso Abel Ferrara si sarà ripetutamente posto prima, durante e dopo la realizzazione del suo Pasolini cinematografico. Ma che rischia di condurre un qualsiasi approccio critico al film verso una direzione profondamente sbagliata, considerando l’enorme portata simbolica che il personaggio Pasolini ha avuto e ha tuttora nel mondo della cultura italiana e non. In tal senso si comprendono meglio anche le reazioni negative al lungometraggio diretto da Ferrara, presentato in concorso alla settantunesima edizione della Mostra del cinema di Venezia: ogni spettatore – illustre o meno – parte con una visione precostituita di Pasolini; e se il film non trova piena corrispondenza può scattare la delusione, addirittura il rifiuto. O, al contrario, il giudizio entusiasta sull’intera operazione.
In realtà gli intenti di Abel Ferrara sembrano del tutto cristallini: evitare in senso assoluto qualsiasi pretesa di verità sull’omicidio – che nel film segue a grandi linee la versione ufficiale – e prendere quasi a “pretesto” l’immensa figura di Pier Paolo Pasolini per avviare un discorso sul rapporto tra Uomo e vita, tra vita ed Arte. Giungendo all’amara conclusione che troppo breve è comunque un’esistenza solo in parte illuminata dalla capacità di leggerla attraverso l’apparentemente deformante visione artistica. Il “peccato mortale” commesso da Abel Ferrara – peraltro in quest’occasione alle prese con un film quintessenziale della propria filmografia – risiederebbe quindi nella universalizzazione della figura di Pasolini, rendendo esplicita una dimensione umana in grado di avvicinarla alla massa. Al contrario, penetrando la crosta dell’affabulazione intellettuale perpetrata in vita dallo scrittore/regista bolognese, quello che rimane è appunto una sconvolgente, limpida semplicità che il Pasolini di Ferrara si premura di porre nel cono di luce più visibile possibile. Un obiettivo pienamente raggiunto raccontando in modo organico – e perciò per molti versi inscindibile – Pier Paolo Pasolini sia nella sua quotidianità che nel proprio fervore artistico. Anche dalla descrizione di un banale pranzo trascorso in famiglia emerge l’insaziabile curiosità di un uomo che voleva sapere, conoscere quanto più a fondo possibile. Per il quale un qualsiasi incontro avrebbe potuto rappresentare la scintilla di una nuova percezione del mondo, preludio ad una ennesima creazione. Anche l’estasi carnale – magnificamente riportata dall’essenziale interpretazione di Willem Dafoe – nella prossimità del sesso orale in cui Pasolini è rappresentato mai come oggetto passivo bensì sempre soggetto attivo, è parte integrante di quel processo che appaga i sensi e l’anima, portando la conoscenza di un uomo “ammalato” di vita ad un ulteriore grado di profondità. Quello in cui, come sempre dovrebbe essere persino, paradossalmente, nella finzione, l’Essere Umano di carne e sangue si sovrappone perfettamente all’eterea figura dell’Artista, facendone tutt’uno.
In Pasolini Ferrara sceglie, dimostrando di aver compreso meglio di moltissimi altri l’essenza pasoliniana, di mostrare l’incompiutezza di una vita abbandonata troppo presto forse perché vissuta con totale avidità intervallandola con le fantasie visive di due opere non certo a caso incomplete come Petrolio e Porno Teo Kolossal, arrivando perciò al cuore del suo film. Un lungometraggio per forza di cose imperfetto e in continuo divenire, dove l’ombra della fine (esistenziale, cinematografica: il film azzera le distanze…) improvvisa è perennemente dietro l’angolo, accompagnata da un eccesso di vita, sesso (omo) e poesia. Un’opera cinematografica camaleontica e sfuggente, sempre pronta a diventare “altro” rispetto a ciò che in teoria avrebbe dovuto essere. E di fronte a quel corpo oltraggiato e martoriato inerme sulla spiaggia, il Ferrara autore di un cinema spesso violento e ribelle verso tutto e tutti compie un gesto meraviglioso, un rispettoso passo indietro: perché alla fine quel cadavere è anche lui, siamo noi. Irrimediabilmente perduti nel buio della ricerca di un qualcosa impossibile da trovare. Un limite, forse.
Daniele De Angelis
COLLEGAMENTI
Conferenza stampa Pasolini