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Segreti di famiglia

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VOTO: 6

Puzzle di ricordi

Presentato in concorso a Cannes 2015, Segreti di famiglia (di gran lunga più suggestivo il titolo originale: Louder than Bombs) è un film sicuramente ambizioso, ma che anche sul piano delle implicazioni emotive ottiene risultati discordanti. Originario di Oslo, formatosi registicamente a Londra, Joachim Trier si era già messo in luce con Reprise (2006) e Oslo 31. August (2011), nonché con alcuni cortometraggi realizzati in precedenza e accolti molto positivamente nei festival; qui risulta autore anche dello script, una sceneggiatura nella quale si possono ravvisare felici intuizioni e concezioni un po’ stereotipate del lutto, quasi in egual misura.

In Segreti di famiglia tutto gira intorno all’improvvisa scomparsa di Isabelle Reed (interpretata dalla grande Isabelle Huppert), coraggiosa fotografa di guerra che per un tragico scherzo del destino, dopo esser sopravvissuta nei più disparati scenari bellici a tante situazioni di pericolo, si è dovuta arrendere a un letale per quanto banale incidente automobilistico. Muovendosi su piani temporali differenti, la struttura narrativa del film di Joachim Trier prova a “circumnavigare” in lungo e in largo il drammatico evento, dando vita a un mosaico di situazioni ove si tenta di mettere progressivamente a fuoco il punto di vista dei famigliari più stretti. Ecco, se in tale rapsodica ricostruzione l’atteggiamento dei figli porta alle notazioni più sottili, intelligenti, interessanti, talvolta persino fuori dagli schemi, è la rappresentazione del “mondo adulto” a lasciare poche vie di fuga, a cadere troppo frequentemente nel già visto. La stessa Isabelle, per come viene ricordata sul lavoro, finisce per evocare un po’ stancamente le figure stoiche, appassionate, ma in parte anche stressate e traumatizzate, dei reporter in zona di guerra su cui il cinema degli ultimi anni, specie quello di matrice anglosassone, ha focalizzzato spesso e volentieri la propria attenzione. Ma il ritratto in questione stenta a decollare, a collezionare quei tratti specifici che gli avrebbero garantito maggiore autonomia. E così anche le scoperte fatte post mortem dal marito Gene, per quanto ad interpretarlo vi sia un Gabriel Byrne come sempre molto magnetico, intenso, rasentano a tratti lo stereotipo.

A rendere il tutto più vivo vi è comunque la regia di Joachim Trier, che pare quantomeno in grado di assicurare una certa tensione interna, se non addirittura scampoli di suspance (come ad esempio nel lungo pedinamento del figlio più piccolo, da parte di un padre poco presente ma curioso di scoprirne le abitudini), a quelle dinamiche interpersonali di cui si nutre l’intreccio. Le ripercussioni psicologiche del nuovo assetto famigliare su due figli di età diversa, a volte distanti in quanto impegnati in fasi differenti della crescita (il più grande si sta già creando una famiglia sua), a volte solidali tra loro, si manifestano senz’altro in forme più originali, stimolanti e profonde, sul piano dell’empatia generata dai personaggi. E così in Segreti di famiglia quegli schemi di elaborazione del lutto non così penetranti e sentiti cedono il passo, all’occorrenza, a uno spirito da teen movie inacidito e imbevuto di spleen autentico, che risulta paradossalmente più credibile ed efficace.

Stefano Coccia

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