L’eco della tragedia
Piccola finestra sul territorio e sull’operato della Regione Emilia Romagna Film Commission aperta negli ultimi anni dal Ravenna Nightmare Film Fest, una sezione come Showcase Emilia-Romagna non lesina mai qualche appassionante scoperta. Quest’anno, oltre a L’ultima notte di Francesco Barozzi, è stato il turno di Rwanda, lungometraggio d’esordio di un film-maker già molto attento alle tematiche sociali e alle intersezioni tra differenti linguaggi, quale abbiamo scoperto essere Riccardo Salvetti.
Già lo scorso anno, con l’ottimo Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi di Marco Martinelli, si era visto quanto l’intersecarsi del linguaggio cinematografico e di quello teatrale potesse risultare efficace, al momento di far rivivere sullo schermo certe drammatiche pagine di Storia contemporanea. Di fronte a Rwanda abbiamo riprovato in qualche misura quelle emozioni. Vedendo peraltro superato, a livello artistico, un più alto coefficiente di difficoltà: se nel caso dei tormentati trascorsi del popolo birmano non si contano poi, a livello cinematografico, tante pietre miliari, il genocidio del Ruanda ha beneficiato almeno sul grande schermo di ben altre attenzioni. Dal fondamentale Hotel Rwanda di Terry George al dolente Sometimes in April di Raoul Peck, per arrivare poi alla parentesi africana del monumentale documentario dedicato all’opera del fotografo brasiliano Sebastião Salgado e diretto da Wim Wenders in collaborazione col figlio dell’artista, Juliano Ribeiro Salgado, ovvero Il sale della terra.
In Rwanda il regista si è riallacciato al lavoro teatrale di Marco Cortesi e Mara Moschini, coi quali si è intanto creato un bel sodalizio artistico, per portare sullo schermo alcune accorate testimonianze del dramma ruandese, in particolare le allucinanti vicende cui in parallelo andarono incontro Augustin, giovane operaio Hutu, e Cecile, maestra di scuola elementare appartenente invece all’etnia Tutsi. Fermo restando poi che questa rigida divisione etnica, come viene giustamente affermato nel film, rispecchiava in origine una più blanda suddivisione in gruppi sociali diversi ed è quindi da considerarsi tra le tante storture portate dalla dominazione belga, da quel loro approccio coloniale particolarmente cinico, distruttivo e feroce, che qui come anche in Congo ha generato tanti orrori.
Sta di fatto che nella primavera del 1994, in un centinaio di giorni, circa un milione di uomini, donne e bambini furono massacrati nella piccola nazione africana con una brutalità inaudita. Il fatto che Riccardo Salvetti abbia filtrato tali memorie attraverso l’eco di una sentita esperienza teatrale, lasciando spesso fuori campo le violenze più orripilanti e chiedendo a due protagonisti bianchi, circondati da attori di colore, di immedesimarsi nelle vittime di quella tragedia creando un effetto straniante, non sottrae per niente intensità e commozione al ricordo della tragedia stessa, generando al contrario un clima di tensione continua. Rispetto del dramma umano e grande forza evocativa sono quindi tra i molteplici pregi, di una visione cinematografica che non può lasciare indifferenti.
Stefano Coccia