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Rosie

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VOTO: 7

Diversità = uguaglianza

Saggia scelta, quella di inserire il lungometraggio Rosie – opera prima da regista dell’attrice Gail Maurice – nel palinsesto competitivo del RIFF – Rome Independent Film Festival 2023. Perché Rosie effettua una duplice immersione in quello che si potrebbe definire microcosmo delle minoranze, in cui le persone cercano e affermano, pur tra mille difficoltà, le loro rispettive identità.
Siamo nella periferia di Montreal, in Canada, nel bel mezzo degli anni ottanta. Ma sembra oggi, tanto il racconto viene connotato da una certa atemporalità. Rosie è una bambina nativa nordamericana, affidata ai servizi sociali dopo la scomparsa della mamma. Viene rintracciata Fred (diminutivo di Frédérique) sorellastra della defunta. La quale, artista di strada che ricicla rifiuti per creare le proprie opere, non ne vuol inizialmente sapere di adottare la piccola. Le cose saranno però destinate a cambiare, anche per merito di due simpatici travestiti amici della donna, nel corso di un lungometraggio anche scritto dalla stessa regista esordiente.
Se la parabola messa in scena da Gail Maurice resta sempre a rischio di una certa esemplarità, con le minoranze ghettizzate a recitare la parte dei buoni contro il resto della società del tutto indifferente (che infatti resta, in prevalenza, fuori campo), c’è da ribadire che l’opera possiede il grande merito di affidarsi in toto alla sincerità di situazioni e personaggi. Persone emarginate che trovano una ragione di migliorare la propria esistenza specchiandosi l’una nell’altra. Cominciando proprio dalla piccola Rosie, giustamente fiera di appartenere alla razza più antica del luogo. Muovendosi a pendolo tra dramma, soprattutto dettato dalle condizioni economiche del gruppo, e commedia, Rosie è un’opera che fa dell’unione l’unica chiave di volta per uscire dalle varie problematiche, sospese tra razzismo, omofobia e mancanza di denaro. Un coming of age, a maggior ragione per la bambina ma non solo, decisamente fuori dagli schemi, che rappresenta una conferma di quanto le famiglie “atipiche” possano in realtà divenire la prima cellula vitale di quella che definiamo società civile. Nel mezzo di tale discorso tante altre cose, a cominciare dal coraggio di affermare la propria sessualità, con la bellissima sequenza del gruppo che si presenta al funerale della madre di Flo in abiti quotidiani, a prescindere dalla richiesta di sobrietà da parte della famiglia.
E se l’ottimismo finisce con il prevalere in un finale in cui tutti si rendono finalmente conto della fortuna che hanno nel vivere in comune, risulta difficile addossare qualsivoglia tipo di furbizia alla regista/sceneggiatrice Gail Maurice. Anche grazie alle convinte performance di un ottimo cast con sugli scudi Melanie Bray (Fred) e Karis Hope Hill (Rosie) allo spettatore rimane la voglia di assistere ad ulteriori frammenti di una piccola epopea esistenziale che molto ricorda, non certo a caso, nei ritmi spezzettati del racconto, quel gioiellino di C.R.A.Z.Y. (2005), lungometraggio che rivelò al mondo il talento di Jean-Marc Vallée, originale autore purtroppo venuto a mancare troppo presto.

Daniele De Angelis

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