Il cuore è come un pistone
C’è chi dopo avere visto Rodeo ai tanti festival ai quali ha preso parte tra cui quelli di Cannes e Torino 2022, dove si è rispettivamente aggiudicato il premio “Coup de cœur du jury” nella sezione Un Certain Regard e quello per la migliore attrice del concorso lungometraggi, per dare qualche coordinata rispetto al film d’esordio di Lola Quivoron, oltre che una possibile collocazione nello scacchiere dei generi, lo ha definito una via di mezzo tra Titane e una versione su due ruote della saga di Fast & Furious. Al netto di qualche assonanza più o meno flebile con le suddette pellicole che può essere utile allo spettatore di turno per capire a grandissime linee con cosa andrà a misurarsi quando il film della regista francese uscirà nelle nostre sale con I Wonder Pictures a partire dal 6 luglio 2023, allo stesso tempo è necessario poi smarcarlo da simili accostamenti per restituirgli la sua vera identità che è tutt’altro che chiara e definita.
Rodeo di fatto sfugge a una precisa etichetta per volontà delle sua autrice ed è questa la sua forza. Basta infatti leggere la sinossi per confermarlo. Il film ci porta al seguito di Julia, una giovane donna fiera e indipendente spinta dalla passione per i motori e assetata dell’assoluto senso di libertà che entra e prova a farsi largo nel ugiro dei “rodei” urbani, corse clandestine di motociclisti, un microcosmo essenzialmente maschile dove tutto è rito, velocità e pericolo. La storia e la one-line della protagonista, qui interpretata con grande personalità e intensità da una bravissima Julie Ledru, si muove infatti sul terreno minato del dramma e del romanzo di deformazione, per poi sconfinare nel crime e nell’heist-movie. Una natura trans-genere e fluida, la sua, che si plasma e permette a un’opera camaleontica di cambiare pelle strada facendo. Il ché consente all’autrice e ad Antonia Buresi che l’ha assistita in fase di scrittura di sfruttare i temi e gli stilemi dei generi chiamati in causa per alimentare lo script e la sua trasposizione, ma al contempo non esserne schiave, così da presentare alla platea un oggetto audiovisivo di immediata codifica oltre che imprevedibile, proprio grazie alle mutazioni genetiche di cui sopra che subisce nel corso della timeline. Tanto imprevedibile da giungere alla temuta zona Cesarini con un finale metafisico davvero inaspettato, nel quale il mood si stacca completamente dal realismo imperante che aveva caratterizzato sino a quel momento il plot e le sue dinamiche.
Il tallone d’Achille di Rodeo semmai sta nel fatto che non sempre questi elementi così diversi riescono a coesistere, tanto che ci sono dei momenti in cui il passaggio da un genere all’altro manca di fluidità e le componenti sembrano scollarsi e percorrere rette parallele. Tali interruzioni fortunatamente non interrompono il flusso emotivo e la tensione che mantengono una temperatura elevata come il ritmo che la confezione e la regia imprimono al racconto che assume le sembianze di una corsa forsennata in moto. Il risultato è un mix altamente infiammabile, tenuto però sotto controllo dalla Quivoron. Quest’ultima da parte sua dirige con mano ferma e sicura, mettendo a disposizione del film delle soluzioni visive coraggiose e di forte impatto (vedi la scena della rapina al camion che trasporta le moto). Il tutto ben supportato da un montaggio che detta bene i tempi e da una fotografia “sporca”, satura e piena di grana, che conferisce alla messa in quadro un realismo e un rapacità.
Francesco Del Grosso