Robots Never Lie
Lo si era già capito col precedente Grabbers, che aveva furoreggiato sia a Trieste che all’Irish Film Festa di Roma: Jon Wright, originario dell’Ulster, è nell’ambito del cinema fantastico uno dei più promettenti talenti europei. Speriamo pertanto che la sua vena immaginifica si assesti sempre su livelli di prim’ordine. Non era infatti facile replicare l’effetto sorpresa, sostenuto peraltro da uno humour beffardo e sornione, che si era raggiunto con quell’altro, paradossale racconto cinematografico: ne erano protagonisti alcuni irlandesi, asserragliati nel pub della loro cittadina per fronteggiare un’invasione aliena grazie agli impensabili e salvifici effetti dell’abuso di alcol, lì usato come deterrente contro le mostruose creature. Il tasso di originalità, ironia e sfacciataggine presente in Grabbers non era forse eguagliabile. Ma, pur lasciando intravvedere qualche ulteriore concessione alla logica del “mainstream”, per non dire addirittura del film per famiglie, il nuovo parto del cineasta britannico resta comunque un incanto, una miniera di sorprendenti avventure, un approccio in parte nuovo al tema delle guerre robotiche.
La recente esperienza triestina è stata quindi assai positiva, per il cinema di Jon Wright, segnando così un felice ritorno a Science + Fiction, festival che a Grabbers aveva tributato nel 2012 un’accoglienza particolarmente calorosa: non a caso era sopraggiunto il Premio del Pubblico. Niente premi per Robot Overlords, ma un sincero godimento da parte degli spettatori nel seguire sul grande schermo quest’odissea fantascientifica tanto spettacolare quanto ricca di spunti, di piccole e deliziose invenzioni. Ideale “tagline” del film, la frase Robots Never Lie viene pronunciata all’inizio (per essere ricordata anche in seguito) dal fantomatico “Mediatore”, una macchina dalle fattezze umanoidi che rappresenta sul campo l’Impero dei Robot, potenza aliena che ha assoggettato i Terrestri al termine di una guerra lampo. Le caratteristiche della loro dominazione sono però alquanto singolari: agli umani sopravvissuti è stata garantita la salvezza, ma solo qualora rimangano chiusi in casa, per tutto il tempo che l’esercito occupante riterrà necessario a studiare gli abitanti della Terra. Se invece qualcuno di questi decide di mettere il naso fuori dalla propria abitazione e, dopo aver ricevuto un paio di sbrigativi ultimatum, si rifiuta di rientrarvi, viene subito disintegrato da giganteschi robot guardiani e macchine volanti. Del resto l’Impero dei Robot ha promesso di lasciare il pianeta dopo qualche anno, permettendo così che tutto torni alla normalità. Ma sarà vero? Quelle creature robotiche sono sul serio incapaci di mentire o stanno pianificando qualcosa di ancora più distruttivo, che contempli magari l’annientamento della razza umana? Sembra quasi di assistere a un’ironica rivisitazione delle famose leggi di Asimov.
Spinto a gran ritmo, il racconto decolla subito nutrendosi anche dell’istintiva simpatia dei suoi protagonisti; ossia un gruppetto di ragazzini, andati perlopiù incontro alla drammatica scomparsa dei propri cari o ad altre privazioni, che potrebbero aver scoperto il modo di sfuggire all’onnipresente controllo dei robot e passare così al contrattacco. Ma non sarà facile, considerando che i loro nemici sono supportati anche da alcuni traditori, umani privilegiati che gli altri non a torto definiscono “collaborazionisti”, tra cui il torvo e ghignante “villain” interpretato con la consueta classe da Ben Kingsley. Sebbene il plot non faccia certo economia di suspance e di personaggi eliminati brutalmente, a prevalere è un tono leggero, fumettistico, avventuroso, ludico; tono che sembra legare un prodotto del genere alla filosofia di fondo dello Spielberg più picaresco e scanzonato (pare che I predatori dell’arca perduta rientri tra i cult movies maggiormente amati da Wright), al pari di altro cinema realizzato negli anni ’80, per esempio I Goonies (le dinamiche all’interno della banda di adolescenti potrebbero ricordarlo un po’). Fatto proprio un simile mood, ciò che piace di Robot Overlords è anche la caratterizzazione tipicamente brit della messa in scena, con tanto di Spitfire (caccia inglese della Seconda Guerra Mondiale) rimesso in sesto per la battaglia finale. Insomma, se certi elementi citano quasi alla rinfusa frontiere diverse della fantascienza contemporanea (la forma dei robottoni non è poi così diversa da quella di analoghi invasori, visti in azione nel nipponico Kyashan – La rinascita), ci si diverte soprattutto a osservare giovani cittadini della Gran Bretagna intenzionati a salvaguardare il tradizionale isolazionismo della loro terra. Persino quando non sono le armate del III Reich a minacciare la loro quiete, ma una forza aliena apparentemente invincibile!
Stefano Coccia