Il Cinema è nostro
Sarebbe interessante mettere in piedi un piccolo esperimento, in occasione della visione del documentario Richard Linklater: Dream Is a Destiny, diretto da Louis Black e presentato alla Festa del Cinema di Roma 2016. Mostrarlo a qualcuno che non conosce il cinema del regista texano e chiedere alla persona in questione, subito dopo, cosa è rimasto della visione. Chissà quanti risponderebbero che Linklater è la perfetta incarnazione di un’utopia fuori dal tempo, decisamente anacronistica soprattutto nel nostro presente fatto di spiccati individualismi, gente che si fa largo sgomitando – spesso a scapito di chi avrebbe meriti maggiori – esclusivamente per la capacità di farsi notare. Tutto il contrario del concetto, promulgato a più riprese nel documentario da chi ha avuto la possibilità di lavorare con lui, di lavoro d’insieme, fondamentale per comprendere al meglio il modus operandi di Richard Linklater: la realizzazione di un film non come soliloquio del presunto genio di turno ma al livello di un traguardo da raggiungere attraverso un lavoro di squadra nel quale ognuno possa offrire il proprio, tanto determinante quanto gratificante, contributo. Con il regista a dare il là all’inizio di un “sogno”. E proprio di sogno cinematografico si tratta, ad esempio, quando si parla di un progetto tipo quello portato a termine con Boyhood (2014). Dodici anni di vita di un bambino che diventa ragazzo in procinto di affacciarsi all’età adulta. Un’opera che Linklater filma in tempo in pratica reale utilizzando gli stessi attori e osservandoli cambiare nel corso degli anni. Si potrebbe quasi parlare di una “mistica” della Settima Arte se non fosse per l’evidente rapporto di intimità che si è venuto a creare tra cast (tra gli altri il fedelissimo Ethan Hawke e Patricia Arquette) e troupe, in cui la macchina da presa non è mai sguardo voyeuristico ma presenza coinvolta e partecipe in una piccola, ma al contempo grandissima, avventura esistenziale.
Nell’excursus compiuto sul cinema di Linklater, in un documentario formalmente molto tradizionale – del resto la straordinarietà è tutta appannaggio del regista del recente Tutti vogliono qualcosa (2016) – composta da interviste, cronistoria e sequenze tratte dai suoi film, spiccano le parole di Ethan Hawke a proposito della trilogia Prima dell’alba (1995). Prima del tramonto (2004) e Before Midnight (2013), anch’essa deputata all’osservazione dello scorrere del tempo nella vita di personaggi di finzione che appaiono più reali del vero. Hawke afferma che nei momenti di crisi tornare sul set con Richard Linklater ha sempre rappresentato un momento di nuova carica, dove il contatto umano con gente di fiducia avrebbe permesso una sorta di nuovo inizio. E Jack Black, protagonista di un lungometraggio quale School of Rock (2003), rapidamente passato da semplice commedia da botteghino a oggetto di culto nel corso degli anni, rincara la dose ricordando come il regista si sentisse inadatto a dirigere un film su commissione per un grande studio. Al contrario, affidandosi alla collaborazione di Jack Black stesso ed i bambini protagonisti, il film è risultato ricco di letture pedagogiche oltre che divertimento.
Se insomma Richard Linklater: Dream Is a Destiny racconta anche della realizzazione di un qualcosa che, da parte del protagonista del documentario, si voleva con estrema forza di volontà, bisogna anche tenere presente la fondamentale interazione con il resto del mondo, o almeno una parte di esso: quello con cui è necessario sintonizzarsi per non risultare un eterno Don Chisciotte all’inseguimento di fantomatici mulini a vento. Solo allora si potranno superare le difficoltà – qualche flop sonoro c’è stato anche nella filmografia di Linklater, come ad esempio The Newton Boys (1998) – e rivolgere lo sguardo verso un futuro che arriva sempre prima di quanto ci si aspetti. Nel Cinema ma soprattutto nella vita, specie quando le due dimensioni finiscono per sovrapporsi con acuta intelligenza e sensibilità. Ovviamente attraverso lo sguardo di Richard Linklater.
Daniele De Angelis