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Tutti vogliono qualcosa

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VOTO: 8

L’estate sta finendo

Richard Linklater e il “tempus fugit”. Cioè quel preciso momento dell’esistenza che, visto a posteriori, è solo un alito di vento nell’uragano di una vita completamente vissuta ma che il cinema riesce magicamente a bloccare ed esaminare all’infinito. La poetica dell’autore texano, quando ha rivolto il proprio sguardo all’universo giovanile, si è sempre soffermata su questa tematica, magari nascosta sotto un presente narrativo in apparenza poco significativo. Non costituisce ovviamente eccezione la sua ultima fatica Tutti vogliono qualcosa, lungometraggio che, ambientato nel 1981, racconta l’ultimo fine settimana di libertà dei giocatori di una squadra di baseball universitaria nel campus prima dell’inizio dei corsi.
Il punto di vista privilegiato, nel film, è quello di Jake, matricola al primo anno di college. Ed è attraverso il suo sguardo che il pubblico fa la conoscenza di personaggi e atmosfere, così tipicamente eighties e benissimo riprodotte da un Linklater il quale le ha evidentemente vissute appieno. Tuttavia si tratta della pura cornice di un’opera capace di celare ben altro dietro la superficie di sfrenato edonismo, del tutto tipico dell’american way of life di un’intero decennio ma al contempo appartenente a chiunque abbia presente quel periodo durante il quale divertimento faceva rima con nutrimento quotidiano. Ad osservarlo da una certa angolazione, infatti, quel “tutti vogliono qualcosa” – riferito ai componenti del team – sembrerebbe incentrato soprattutto su belle ragazze, fiumi di alcool e magari qualche canna qua e là. Al contrario il susseguirsi incessante di chiacchiere, visite ai locali e party organizzati, non rappresenta altro che uno sfogo legittimo dei sensi prima dell’ingresso nel mondo adulto, dove il livello di competizione è sfibrante ed il tasso di responsabilità aumenta in maniera esponenziale. Anche per questi motivi l’apparente leggerezza di Tutti vogliono qualcosa, marchio di fabbrica dell’autore sin dai tempi di Dazed and Confused (1993), del quale quest’ultima fatica rappresenta una sorta di ideale seguito, è solo una patina di leggiadria che nasconde motivi di grande preoccupazione nei confronti della vita che si prospetta all’orizzonte. Lo si coglie sia in determinati dialoghi sul futuro, squarcianti momenti di serietà in un film che per molti versi potrebbe definirsi una commedia “collegiale” di quelle in voga proprio negli anni ottanta, che pure sulla caratterizzazione di personaggi come ad esempio Willoughby, eterno Peter Pan trentenne alla continua ricerca di un contatto giovanile per sentirsi ancora tale. Finirà espulso dopo un controllo sull’età effettiva ma ci riproverà senza dubbio. Perché in certi casi la voglia di spensieratezza è ben più forte dello scorrere naturale del tempo.
Meno radicale – e coraggiosamente sperimentale – del precedente Boyhood (2014), Tutti vogliono qualcosa segna un ritorno alle origini per il regista di Prima dell’alba (1995), probabilmente la sua opera più nota. Un viaggio a ritroso nel tempo in cui il libro delle opportunità era ancora perfettamente aperto e l’avvenire una semplice ipotesi. Quasi viene da rabbrividire al solo pensiero che i ventenni di allora possano essere i quasi sessantenni di oggi, schiera di cui del resto fa parte lo stesso Linklater. Il quale osserva i personaggi da lui mirabilmente descritti con quell’empatia e quel senso di solidarietà in grado di travalicare lo schermo ed arrivare ai cuori di ogni spettatore in piena sintonia con l’afflato poetico del film. Ciò anche per merito di un cast di giovani semi-sconosciuti assemblato alla perfezione, che contribuisce a rendere il tutto sincero e privo di qualsiasi tentazione di artefatta costruzione drammaturgica. Se il cinema è e continuerà ad essere un sogno ad occhi aperti, allora è giusto concedere a Jake un ultimo sonnellino durante la prima lezione di storia che segna l’inizio della sua carriera universitaria; prima di svegliarsi e scoprirsi fatalmente innamorato per la prima volta nella sua vita, nonché forse pronto ad assumersi quei doveri che la nuova vita universitaria gli riserverà. A lui come a tutti, negli Stati Uniti degli anni ottanta oppure di qualsiasi altro luogo passato e presente. Perché essere giovani può essere stato, a seconda dei vari casi, certamente più o meno bello: ma il cuore di chi guarda Tutti vogliono qualcosa, alla fine, si restringe in un impulso di pura commozione senza poter – e in fondo volere – fare nulla per evitarlo.

Daniele De Angelis

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