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(Re)Visioni Clandestine #49: Butterfly – Il sapore del peccato

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Orson Welles + James M. Cain + Ennio Morricone = scarso

«Fammi sentire l’alito, non sei abbastanza vicina!»
(Orson Welles)

Orson Welles ha sfoggiato le sue doti recitative in pellicole dirette da altri solitamente per motivi economici. Incassando velocemente e facilmente l’assegno per la marchetta resa, con parte di quei soldi avrebbe potuto finanziare i suoi progetti, rimasti incompiuti oppure ancora su sceneggiatura. Una vicenda simile a quella di John Cassavetes, che per poter sovvenzionare le sue opere indipendenti da regista, dovette concedersi maggiormente come attore in molti film altrui. In queste due parabole artistiche, l’aspetto accomunante è l’aver principalmente preso parte a pellicole scadenti. Tutto sommato, però, si potrebbe dire che era un equo Do ut des, ovvero Welles e Cassavetes recepivano il denaro necessario con un minimo sforzo, e la pellicola poteva fregiarsi con onore della loro preziosa partecipazione. Anzi, il loro nome a volte diveniva l’unico valido motivo per dare una sbirciata alla pellicola. Tra i tanti film interpretati da Orson Welles, Butterfly – Il sapore del peccato (Butterfly, 1981) di Matt Cimber non è tra quelle che rientrano nel novero delle indimenticabili.

Lo scopo primario di Butterfly era di fungere da trampolino di lancio cinematografico per la cantante Pia Zadora (1954), antecedentemente apparsa, quando era ancora una bambina, soltanto in Santa Claus Conquers the Martians (1964) di Nicholas Webster. La Zadora aveva avuto un tenue riscontro musicale sul finire degli anni Settanta, e continuerà questa carriera canterina senza mai sfondare veramente, perfino quando ebbe una fugace relazione con Frank Sinatra. La scelta di fargli interpretare la giovane protagonista Kady Tyler non si basava sulle sue qualità recitative, che non possedeva, ma sulle sue forme fisiche acerbe (altezza 152 cm), perfette per modellare l’adolescente Kady. Tratto dall’omonimo romanzo, pubblicato nel 1947, di James M. Cain, scrittore abile nel descrivere situazioni noir e sessuali nell’America post-depressione, molto probabilmente la messa in produzione del romanzo fu anche dettata dall’imminente uscita de Il postino suona sempre due volte (The Postman Always Rings Twice, 1981) di Bob Rafelson, tratto dall’omonimo romanzo di Cain e remake della pellicola di Tay Garnett (1946). Il battage pubblicitario riguardante il film di Rafelson spingeva prevalentemente sulla torrida scena di sesso tra Jack Nicholson e Jessica Lange, star di prima grandezza di Hollywood, e anche la pellicola di Cimber, che purtroppo non poteva gloriarsi di simili splendenti stelle cinematografiche (escludendo Welles che comunque non era un divo), pigiò sull’aspetto lascivo della storia. Il manifesto originale di Butterfly immortala la Zadora in un Baby Doll trasparente e che fa intravedere le sue giovanissime grazie, mentre la copertina dell’edizione DVD si concentra sul licenzioso bagno di Kady aiutata dal maturo Jess Tyler (Stacey Keach). Da aggiungere che anche il sottotitolo italiano si dirige verso la medesima direzione, rendendo più appetibile, in tempi in cui l’hard cominciava ad affacciarsi prepotentemente, un titolo che altrimenti sarebbe passato inosservato. L’adattamento cinematografico, realizzato dallo stesso Cimber, trattiene solamente il tema dell’incesto e alcune scene melodrammatiche, eliminando quasi totalmente le taglienti descrizioni che solitamente Cain infieriva all’America provinciale degli anni Trenta. Butterfly pertanto rimane un velleitario romanzo cinematografico patinato, poverissimo di quelle descrizioni ambientali e sociali utili a corroborare il peccaminoso argomento, e, assurdamente per com’era stato concepito (e pubblicizzato sul manifesto), avaro di scene veramente scandalose. Eppure in questo sconnesso film, colpa anche dell’inconsistente messa in scena di Matt Cimber, precedentemente regista di prodotti exploitation e che qui si nasconde dietro la discreta fotografia curata da Eddy Van der Enden (altro mestierante dell’exploitation), qualche piccolo aspetto interessante, invogliante a dare un rapido sguardo a Butterfly, c’è. Oltre alla presenza di Orson Welles, nel ruolo del vecchio e moralista giudice Rouch, perfettamente in linea con gi umori dei personaggi vergati da Cain, c’è sorprendentemente Ennio Morricone che firma la colonna sonora, che sebbene anonima, conferma le sue raffinate doti compositive. Ad ogni modo, il regista, il direttore della fotografia, il co-sceneggiatore (John F. Goff) e Pia Zadora ritenteranno la sorte l’anno successivo con La truffa (Fake-Out, 1982), ma sempre con gli stessi risultati deludenti.

Roberto Baldassarre

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