Tempi nuovi richiedono idee nuove
Spesso si dice che il lieto fine nella vita sia una cosa inventata da Hollywood per vendere più biglietti. Sì, insomma, un’operazione di marketing alla pari del Babbo Natale di rosso vestito propagandato dagli spots della Coca Cola. Un tempo le storie non avevano sempre un lieto fine, anzi, quasi mai ne avevano uno. In particolare i miti greci erano avari di finali felici. Tutto questo pare avere ben presente la giovane regista greca Sonia Liza Kenterman che in questo suo Raftis, lungometraggio in Concorso al 39° Bergamo Film Meeting, organizza un racconto di formazione che rispecchia molto dei miti antichi, compreso il finale agrodolce.
Protagonista di questo mito moderno è il sarto Nikos, interpretato da un lunare ed assai espressivo Dimitris Imellos. Arrivato ai cinquant’anni ha conosciuto il mondo solo attraverso il negozio di sartoria del padre. Quando le cose precipitano, con la banca che minaccia il pignoramento ed il genitore che si ammala, il nostro eroe dovrà ingegnarsi per trovare una soluzione. Ed ecco qui un altro punto di contatto con le storie antiche; all’inizio il protagonista sembra un semplicione buono a nulla, ma si rivela essere un abile eroe. L’eccentrico ed impacciato Nikos rispetta perfettamente questa descrizione. All’inizio incontra molte difficoltà, ma riesce, grazie alle proprie capacità, a farsi strada. In un nuovo tempo nel quale sembra proprio non esserci posto per lui e la sua arte, riesce a reinventarsi e ad ottenere il rispetto del severo padre. La regia ed il montaggio non rivelano un particolare gusto per il virtuosismo fine a sé stesso. Richiamano piuttosto il cinema classico, data la loro essenzialità e indirizzo nel narrare la storia. Una particolare mira ha la regia nel sottolineare gli sguardi ed a farli parlare, riuscendo in tal modo a fare esprimere ai personaggi i loro pensieri interiori con il solo ausilio delle immagini e senza ricorrere alla parola.
Tutto ciò riempie le immagini e le rende espressive molto più di quanto non avrebbe potuto fare un dialogo.
Per narrarci questa storia ambientata durante la terribile crisi economica in Grecia, la Kenterman dunque ritorna ad uno schema assai antico e radicato nelle sue tradizioni. Potremmo dire che lo ha nel sangue questo tipo di racconto. Evita il facile buonismo consolatorio che, sinceramente, avrebbe reso questo film l’ennesima opera stucchevole e dimenticabile. Affrontandolo invece in maniera realistica, riesce a dare forma ad un racconto e dei personaggi riconoscibili ma non stereotipati che ci parlano di una realtà a noi contemporanea venendo però a creare una narrazione che appare capace di travalicare il tempo corrente per costituirsi come storia senza tempo, nella quale chiunque,a qualunque epoca appartenga, possa ritrovare consonanza e comprensione.
In fondo questo sono le antiche storie: narrazioni capaci di valicare il proprio tempo e continuare a parlare a sempre nuove generazioni, per questo, dopo secoli, ancora le ascoltiamo.
Luca Bovio