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Quanto basta

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VOTO: 5.5

Ancora non basta

Non si sente la mancanza di un tema come quello dell’arte culinaria, all’interno del cinema nostrano. Anche se, in passato e prima che i numerosi talent riguardanti la cucina prendessero il sopravvento, sono state prodotte interessanti pellicole sull’argomento, oggi, a quanto pare, sembra essere stato detto praticamente quasi tutto. O meglio, in pochi, probabilmente, avranno voglia di sentirne ancora parlare. Se c’è un tema sul quale, al contrario, è stato detto finora davvero poco, è la sindrome di Asperger, malattia classificata solo recentemente dall’omonimo medico austriaco e sulla quale, appunto, a quanto pare v’è ancora molto da scoprire. Almeno cinematograficamente parlando (se si fa eccezione, ovviamente, per il recente lungometraggio Vengo anch’io, co-diretto nel 2018 da Corrado Nuzzo e Maria di Biase, dove, appunto, troviamo tra i protagonisti un ragazzino Asperger).
A coniugare queste due tematiche, dunque, ci ha pensato il regista Francesco Falaschi con il suo Quanto basta, delicata commediola senza troppe pretese che, a suo modo, vuol far luce su qualcosa di ancora ai più sconosciuto, regalando, allo stesso tempo, un appiglio a qualcosa di ampiamente “noto”, per non permettere al pubblico di sentirsi eccessivamente spaesato.
La storia messa in scena, dunque, è quella di Arturo, un tempo affermato chef che, a causa del suo temperamento rissoso, ha dovuto scontare un periodo in carcere e, una volta uscito, è costretto a prestare servizio all’interno di una comunità per ragazzi con la sindrome di Asperger, al fine di insegnare loro l’arte della cucina. Tra i suoi studenti c’è Guido, un ragazzo particolarmente talentuoso con il sogno di partecipare a uno dei più importanti concorsi a tema, diretto, tra l’altro, dall’eterno rivale di Arturo. L’uomo, tuttavia, sarà costretto ad accompagnare il ragazzo fino in Toscana, per permettergli di prendere parte all’evento. Al termine di tale esperienza, ognuno dei due avrà modo di apprendere molto dall’altro e di crescere ulteriormente.
Con la struttura lineare del più classico dei road movie, questo ultimo lungometraggio di Falaschi sfiora, nel corso del suo svolgimento, più volte il tema della malattia, senza, però, voler dare risposte concrete in merito e senza approfondire la cosa in modo necessario, rasentando, di quando in quando, anche toni pericolosamente buonisti. Al di là di ciò, tuttavia, vi sono non pochi elementi che funzionano. Primo fra tutti: il giovane Luigi Fedele nei panni di Guido. Malgrado la giovane età, il ragazzo ha saputo distinguersi all’interno di un cast composto da non pochi veterani. In secondo luogo abbiamo la location: la Toscana, c’è poco da fare, fa sempre la sua figura e qui, in particolar modo, il regista – peraltro originario di quegli stessi luoghi – ha saputo sapientemente evitare il pericoloso “effetto cartolina” a cui la nostra bella regione è così spesso soggetta.
Ciò che, al contrario, di un lavoro come Quanto basta proprio non convince, è uno script che prevede snodi narrativi che si susseguono troppo velocemente e, soprattutto, cambiamenti interiori dei personaggi talmente repentini da risultare forzati e decisamente poco credibili. È questo il caso, ad esempio, del momento in cui il giovane Guido supera una delusione d’amore oppure di quando Arturo decide di tornare in Toscana per assistere alla finale della gara culinaria.
Malgrado, dunque, gli ottimi intenti iniziali e malgrado, soprattutto, la mancanza di particolari “scivoloni” da parte del regista, Quanto basta purtroppo non riesce a spiccare il volo, non riesce a colpire nel segno, finendo inevitabilmente per confondersi tra le tante commedie che ogni anno, in Italia, fanno capolino sul grande schermo. Peccato.

Marina Pavido

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