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Quando c’era Marnie

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VOTO: 8

La principessa delle maree

Non solo Miyazaki, non solo Takahata. L’ormai leggendario Studio Ghibli sembra avere altre frecce al suo arco, grazie anche alla definitiva maturazione di un autore formatosi proprio tra le squadre di animatori, che hanno contribuito alla realizzazione di film come Principessa Mononoke (1997), La città incantata (2001), Il castello errante di Howl (2004), Ponyo sulla scogliera (2008) e Si alza il vento (2013). Ma Hiromasa Yonebashi, perché di lui si sta parlando, già nel 2010 aveva avuto occasione di esordire alla regia di un lungometraggio, con il grazioso, bucolico Arrietty.

Per un verso o per l’altro la filmografia essenziale da noi riassunta nelle precedenti righe quasi lo dipinge come un promettente padawan, cresciuto all’ombra di quell’importante maestro Jedi che, nella blanda metafora or ora abbozzata, ha le sembianze del grande Hayao Miyazaki. Quando c’era Marnie, opera di notevolissima sensibilità, dimostra che Yonebashi non soltanto ha appreso tante cose belle dagli autori di punta dello Studio Ghibli, ma sa adesso rielaborarle con una certa personalità e in modo gradevole, ispirato, parimenti poetico. Tratto dall’omonimo libro, pubblicato nel 1967 e oggi considerato tra i principali capolavori della letteratura inglese per ragazzi, questo meraviglioso film d’animazione è innanzitutto il frutto di un adattamento riuscito, che vede le tonalità sfumate di una delicata ghost story di stampo britannico (ma facilmente assimilabile dallo spirito nipponico) ricollocate alla perfezione, lungo le coste dell’isola giapponese di Hokkaido. Col trasferimento in tale luogo della giovanissima Anna, protagonista resa diffidente e solitaria da un triste passato, ha inizio quel racconto di formazione in cui, tra atmosfere sognanti e intimiste, una cornice naturale così caratteristica assorbe meravigliosamente bene le tensioni (pre)adolescenziali di chi sembrava non volersi più aprire a rapporti personali e famigliari sinceri. Ma qualcosa è destinato a cambiare, al ritmo delle maree. Al ritmo delle fasi lunari. E al ritmo di taluni incontri, che hanno in sé qualcosa di magico…

Senza voler “spoilerare” troppo dell’articolatissima trama, è bello vedere come Hiromasa Yonebashi abbia saputo costruire un clima di tenue mistero, senza soffocare gli interrogativi esistenziali della ragazza, Anna, ma facendole (ri)scoprire gradualmente il valore dell’amicizia, l’importanza dei ricordi, la necessità di integrarsi con l’ambiente circostante anche quando esso può apparire estraneo, lontano. E se la raffigurazione della protagonista può apparire, a tratti, un po’ troppo debitrice dei tanti precedenti femminili targati Studio Ghibli, la densità pittorica dei fondali rivela invece una maestria e un gusto non comuni. Ci si immerge così con una certa piacevolezza, nell’atmosfera incantata della laguna e del piccolo villaggio costiero. Assaporando poi fino alla fine le coinvolgenti rivelazioni offerte dal racconto.

Stefano Coccia

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