L’uomo che non ama
Bella sfida, quella di raccontare per immagini l’amour fou, ovvero quella passione in grado di travolgere tutto e tutti dal primo istante in cui scocca la fatidica scintilla. L’impresa si fa forse meno complessa quando si scopre che ad essere adattato al cinema è un best seller scritto dalla stessa regista, che di nome fa Amanda Sthers ma all’anagrafe è conosciuta come Amanda Queffélec-Maruani, parigina di nascita. La gloria molto presunta decanta totalmente quando appare chiaro, una volta visto il film dal titolo Promises, che di folle amore non c’è praticamente traccia. Chi si attendeva alte temperature di erotismo anche solamente suggerito andrà a casa deluso, al pari di coloro che bramavano riempire i fazzoletti di lacrime per colpa (?) di un amore larger than life osteggiato dal Destino avverso. Nulla di tutto ciò. In realtà Promises mette in scena, con scarsissimo senso cinematografico, l’esistenza di tale Alexander detto Sandro (Perfrancesco Favino, molto a disagio negli scomodi panni del tombeur de femmes suo malgrado), commerciante di libri antichi italo-francese dalla singolare caratteristica: tutte le donne rimangono vittime del suo irresistibile fascino ma lui, affetto da una sorta di atarassia sentimentale, risulta incapace di amare fino in fondo. Bene. Anzi, male. Perché Promises (il film, beninteso) non solo appare come un coacervo di contraddizioni difficilmente risolvibili, ma coltiva pure l’ambizione di rifarsi a certo cinema transalpino in grado di mettere in scena il sentimento di tutta una vita. Truffaut e Lelouch, tanto per fare due nomi noti, insegnano. E dovrebbero pure far capire quanta attenzione bisognerebbe prestare ad una materia tanto scivolosa. Ma Amanda Sthers, evidentemente forte del successo economico del proprio romanzo omonimo (“Les promesses”, in francese) parte in quarta e non si ferma davanti a nulla. E allora via con l’infanzia travagliata di Alexander, colpito dalla prematura morte del padre per annegamento di fronte ai suoi occhi, vessato sin da bambino da un nonno paterno a dir poco burbero e scontroso (Jean Reno, sempre identico a se stesso nonostante i decenni si susseguano nel film) ed infine traumatizzato, al pari degli spettatori, da una specie di scena primaria di seconda mano allorquando sorprende l’amata mamma in piena copula con un altro uomo al termine del canonico periodo di lutto. Freud avrebbe forse qualcosa da ridire ma procediamo, tra una miriade di flashback e flashforward che ingenerano un senso di puro disagio in chi guarda. Alexander adulto, ad una festa con l’obbligo dei baffi (vedere per credere!) incontra, da sposato, finalmente Laura (una disorientata Kelly Reilly). Arriva il colpo di fulmine che darà la svolta al film? Non proprio. Nasce invece un rapporto più che tormentato, galeotto fino all’inverosimile poiché anche Laura convola a nozze poco dopo. E dopo qualche tempo confessa ad Alexander di essere incinta. Chi sarà il padre? Lasciamo la suspense ai lettori. Il problema principale a questo punto sta però nel fatto che l’interesse è già del tutto scemato a causa di situazioni ben oltre la forzatura melodrammatica – Laura, che vive con il marito, si spoglia alla finestra per Alexander, inebetito sotto il diluvio – e dialoghi a dir poco imbarazzanti, con il filosofo Alexander fermamente convinto del fatto che “il mondo cambia poiché tutto è in eterno movimento“. O giù di lì.
Con Promises, inutile specificarlo, siamo più dalla parti di una pretenziosa soap-opera che di un, pur maldestro, trattato sentimentale. Favino e Reilly recitano in due film diversi, perciò non si capisce affatto quale possa essere la motivazione alla base di siffatta attrazione, oltretutto resistente allo scorrere del tempo. Un tempo di per se stesso circolare in senso simbolico, che vede corsi e ricorsi alternarsi senza soluzione di continuità alcuna, con annesse citazioni di Proust e Calvino a tentare di elevare culturalmente un prodotto di banale fattura. Niente male davvero per un lungometraggio – chissà come finito nella Selezione Ufficiale della Festa del Cinema di Roma 2021 – di quasi due ore. Sfiancanti peggio di una maratona estiva corsa con il sole a picco. Almeno fosse stato un autentico scult…
Daniele De Angelis