La conferenza stampa di uno dei film più attesi della 71^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: Pasolini di Abel Ferrara, con Willem Dafoe, Maria de Medeiros, Riccardo Scamarcio, Giada Colagrande, Roberto Zibetti, Adriana Asti, Valerio Mastandrea, Tatiana Luter, Guillaume Rumiel Braun, Diego Pagotto, Salvatore Ruocco. In uscita il 25 settembre.
D: La morte di Pasolini è sempre stata un mistero, lei ha detto di sapere esattamente cos’è accaduto, potrebbe spiegarlo anche a noi?
Abel Ferrara: Non ho mai detto di sapere chi l’abbia ucciso. Il punto di questo film era cercare di parlare della sua vita, del suo lavoro, delle sue passioni, della sua compassione.
D: È difficile parlare di queste tragedie italiane degli ultimi venti/trent’anni. Oggi cadono cinquant’anni dalla presentazione de Il Vangelo secondo Matteo alla Mostra di Venezia, in qualche modo lo omaggia lei con questo film, accompagnato da tante polemiche. Vorrei sapere se ha colto qualche punto di contatto o di ispirazione da Il Vangelo secondo Matteo per rileggere la figura di Pasolini, così controversa e inquietante?
A. Ferrara: La tradizione del cinema è sempre stata costellata di film che portavano con sé delle critiche, così come si bruciavano i libri, così accadeva anche ai negativi dei film. Pasolini era ogni giorno in tribunale.
Ninetto Davoli: È vero, tutto quello che faceva Pier Paolo è stato nel mirino dei critici e dei tribunali. Pasolini ha ricevuto circa trentatré denunce, ma non si è mai fermato di fronte a nessuno ostacolo, ha sempre seguito le sue idee; gli facevano causa solo perché metteva la macchina fuori posto. Questa è stata la forza di Pier Paolo per descrivere un certo tipo di cinema, un modo non violento, ma reale e questo ha un po’ condizionato il pubblico, una buona parte degli italiani veniva distolta, lui metteva di fronte a certi sistemi di vita e purtroppo la gente rimaneva un po’ sconvolta. Pier Paolo era uno allegro, amava la vita, non è vero che avesse descritto la sua morte, aveva tante altre cose da raccontare. Quello che diceva Pier Paolo è che siamo stati presi dal sistema consumistico e questo è stato un male perché ci ha portato a quello che è oggi l’Italia, alla fine lui è rimasto vittima di quello stesso sistema di cui ci aveva parlato cinquant’anni fa, “profetizzando” che il mondo sarebbe diventato così violento tanto da non riconoscersi più, le persone avrebbero perso i valori della vita e saremmo stati prevaricati dal successo.
D: I lavori di Pasolini venivano realizzati in un determinato clima culturale. Se non fosse stato ucciso, pensa che avrebbe realizzato ancora questi film in un periodo di correttezza politica?
N. Davoli: Io penso che se Pier Paolo non fosse morto, li avrebbe fatti senz’altro.
A. Ferrara: Hanno buttato questi ragazzi in prigione, mettendoli sotto una pressione costante e nonostante tutto sono riusciti a reinventare il cinema e che cosa significasse scandalizzare qualcuno. […] Questo personaggio non aveva paura di nulla, erano davvero artisti e persone di un’altra generazione, avevano una forza incredibile nel loro credo e nella loro personalità.
D: Immagino che sia stato abbastanza doloroso ripercorrere un momento così drammatico. Cosa l’ha portata a decidere di accettare?
N. Davoli: L’ho affrontato in modo meraviglioso grazie al cast. Ferrara era da tanti anni che voleva realizzare un film su Pasolini […] abbiamo trovato un punto di incontro e mi sono trovato molto bene. Abel non ha voluto rappresentare tutto Pier Paolo, non sarebbero bastati neanche dieci film per raccontarlo tutto, secondo me ha scelto dei punti ben precisi per raccontare la figura dell’uomo e questo mi ha attratto molto. Abbiamo cercato di fare un cerchio su quello che era il valore di Pasolini.
D: Come hanno affrontato il lavoro di sceneggiatura avendo cura anche del discorso libero indiretto che Pasolini aveva affrontato sia in modo letterario che cinematografico?
Maurizio Braucci (sceneggiatore): L’idea molto chiara era quella di filmare la mente di un poeta nell’ultimo giorno della sua vita e quindi le opere a cui stava lavorando, la sua vita. Il grande tema di Pasolini, soprattutto negli ultimi anni, era il doppio (il doppio di una vita, della personalità, inteso come contraddizione, il rapporto con la tradizione e la modernità). Rispetto alla lingua è un aspetto di sperimentazione. Abbiamo cercato di rimanere molto fedeli agli scritti originali di Pasolini (“Petrolio”, soprattutto le ultime due interviste), è stato fatto un lavoro molto puntuale sulla traduzione, cercando le traduzioni migliori realizzate in inglese, poi, nella versione italiana (Dafoe sarà doppiato da Fabrizio Gifuni), si tornerà all’originale. C’è stata una grande attenzione filologica, oltre alla ricostruzione di quella giornata.
D: Si parla in inglese e in italiano: è per aiutare il signor Dafoe per farlo recitare nella sua lingua madre o per creare una sorta di diversità della lingua attorno all’artista, diverso da tutto ciò che lo circonda?
A. Ferrara: Dafoe parla anche italiano, ma chiaramente non bene. Ci vuole tutta la propria lingua per esprimere ciò che si vuole.
D: Lei ha conosciuto molto bene Pasolini, potrebbe raccontarci un aneddoto inedito?
Adriana Asti: Io ero molto amica di Pier Paolo e quindi di aneddoti ce ne sono infiniti. Quando Abel mi ha chiesto di interpretare questa parte avevo paura di non potercela fare per il coinvolgimento che avevo e poi, invece, ho visto Dafoe che era identico a Pier Paolo e sono diventata sua madre grazie ad Abel che ha un grande talento, proprio come l’aveva Pier Paolo. Lui non era il solito regista, sceglieva un attore e lo faceva diventare colui che voleva, aveva una specie di magia misteriosa e così ha fatto Abel con me e credo con tutti gli attori di questo film. Non sto raccontando nessun aneddoto, stavamo molto insieme, viaggiavamo, mangiavamo insieme… ho avuto la notizia della sua morte mentre ero sul set con Bolognini per L’eredità Ferramonti, io pensavo che lui fosse immortale ed è stato molto brutto (visibilmente commossa).
D: La sua interpretazione è straordinaria. Volevo sapere come ci è arrivato?
Willem Dafoe: La cosa fantastica di Abel è che mi ha fatto sentire un collaboratore, una creatura di Abel davanti alla macchina da presa. Ho cercato di abitare i pensieri di Pasolini e le passioni che abbiamo descritto nel film perciò non mi separo mai dal film, non è stato semplicemente interpretare un ruolo. Ho dialogato con le cose che voleva fare, con la sua vita di ogni giorno e sono cose potenti.
D: La mia domanda è sulla scelta del brano finale cantato dalla Callas e sulla Callas immaginiamo tutti la motivazione che vi ha spinto, ma come mai è stata scelta la “Cavatina di Rosina”?
Fabio Nunziata (montatore): La Callas l’ho scelta perché era una persona che faceva parte della vita di Pasolini, in realtà anche per la colonna sonora abbiamo cercato di fare lo stesso lavoro che abbiamo realizzato per la sceneggiatura. Gran parte dei brani che accompagnano il film sono composizioni che lui aveva usato nei propri film e l’abbiamo fatto perché voleva un po’ richiamare anche nella parte sonora delle musiche che Pasolini aveva utilizzato per rappresentare determinati sentimenti. Eravamo alla ricerca di una verità, non tanto realistica o giudiziaria, ma cercavamo di ricomporre questo corpo pasoliniano fatto di sentimenti e di idee.
Maria Lucia Tangorra