Il valore del Tempo
Lo stress, si sa, è una brutta bestia. Lo sa bene Alain Wapler (Fabrice Luchini), un importante uomo d’affari sempre di corsa e che non ha mai tempo per sé e per la sua famiglia. Un giorno, in auto insieme al suo autista e diretto a un importante meeting aziendale, l’uomo viene colpito da un ictus. Sopravvissuto, però, scoprirà che non riesce più a pronunciare le parole esatte e, pertanto, avrà bisogno dell’aiuto di un’ortofonista, Jeanne (Leila Bekhti), conosciuta in ospedale. Tutto ciò accade nel lungometraggio Parlami di te, quarto lavoro da regista del francese Hervé Mimran, liberamente ispirato alla vita di Christian Streiff (ex CEO di Airbus e di PSA Peugeot Citroen), nonché apologia degli affetti e dell’importanza del tempo nella vita di tutti noi. Tutto molto lodevole e potenzialmente interessante, non v’è dubbio. E anche se, ad una prima, sommaria lettura della sinossi ci sembra di esserci imbattuti in situazioni simili più e più volte (una delle maggiori pecche delle commedie francesi contemporanee, d’altronde), tutto, di fatto, dipende soprattutto dal modo stesso in cui viene realizzato. Se, dunque, fin dal principio, un lavoro come Parlami di te può sembrarci eccessivamente telefonato e ben privo di mordente, man mano che si va avanti con la messa in scena non possiamo fare a meno di notare più di un buco in sceneggiatura – primo fra tutti, il misterioso ritrovamento da parte di Jeanne della sua madre naturale, che l’aveva data in adozione da piccola – all’interno di uno script privo di scossoni emotivi (a differenza di quanto inizialmente auspicato) e con qualche sporadico momento che possa dirsi davvero riuscito, come, ad esempio la scena in cui la giovane ortofonista va in giro con lo skateboard per le strade di Parigi insieme al collega infermiere o la sequenza – sulle note di “Father and Son” – in cui Alain sembra finalmente avvicinarsi a sua figlia, iniziando a condividere con lei diversi momenti del quotidiano.
A ben guardare, il problema principale di un lavoro come Parlami di te è, probabilmente, la fretta stessa con cui si è portato a termine la lavorazione, senza assicurarsi che tutti gli elementi filassero senza intoppi e senza nemmeno approfondire la questione della malattia stessa, qui trattata in modo eccessivamente posticcio che denota una scarsa informazione di base a riguardo.
Un lavoro, questo, che, purtroppo, non può dirsi del tutto riuscito, all’interno del quale persino un attore del calibro di Fabrice Luchini sembra essere poco convincente, finendo irrimediabilmente per fare quasi la fine di una macchietta e facendosi letteralmente rubare la scena dall’ottima Leila Bekhti (la quale ha già lavorato con Mimran in Tout ce qui brille, nel 2011), unico, vero punto di forza dell’intero lavoro.
Ed ecco che anche questo ultimo lavoro di Hervé Mimran finirà irrimediabilmente non solo per finire nel dimenticatoio già immediatamente dopo la visione, ma addirittura per classificarsi come uno dei prodotti meno riusciti all’interno di una miriade di mediocri commedie che ogni anno vengono prodotte nell’ambito del cinema d’Oltralpe.
Marina Pavido