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Parigi può attendere

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VOTO: 6

Un’americana alla volta di Parigi

Grande momento, questo, per la famiglia Coppola. Dopo il conferimento a Sofia del Premio alla Miglior Regia al Festival di Cannes 2017 per il suo L’inganno, ecco che un altro membro della celeberrima famiglia di cineasti (che vede Francis Ford schierato in prima linea, seguito dalla figlia Sofia, appunto, e dal secondogenito Roman) fa il proprio ingresso, in qualità di regista, nel mondo della settima arte. E ormai all’appello mancava soltanto il debutto alla regia di Eleanor Coppola, moglie di Francis Ford, appunto, la quale, dopo aver collaborato per anni sui set del marito, essersi dedicata ad installazioni di arte concettuale ed aver co-diretto diversi documentari, con Parigi può attendere – ispirato ad un episodio realmente accadutole e presentato in anteprima italiana alla 13° edizione del Biografilm – ha dato il via al proprio percorso registico nell’ambito del cinema di finzione.
La storia prende il via, non a caso, a Cannes, dove si è da poco concluso il festival e dove, per l’occasione, ha dovuto essere presente anche il produttore Michael Lockwood (Alec Baldwin) insieme a sua moglie Anne (interpretata da una splendida Diane Lane), da lui spesso trascurata a causa della sua professione. L’uomo, subito dopo il festival, deve recarsi fuori dalla Francia per lavoro, ma Anne non può seguirlo in aereo a causa di una forte otite. Sarà un socio in affari di Michael, l’affascinante Jacques (l’attore e regista Arnaud Viard), ad offrirsi per accompagnare la donna in macchina da Cannes a Parigi, dove la coppia dovrà trascorrere qualche giorno di vacanza a casa di amici. Un viaggio che in teoria dovrebbe durare solo sette ore, però, durerà ben due giorni, alla scoperta delle bellezze della Francia, del buon cibo, del buon vino e, soprattutto, di sé stessi.
Una piccola e molto personale commediola romantica, in pratica, che, si presume, può avere grande importanza per chi la realizza, ma, vista da un occhio esterno, può allo stesso tempo lasciare quasi del tutto indifferenti. Di fatto, tecnicamente parlando, non v’è nulla che non vada in questa opera prima della Coppola (d’altronde ha avuto un ottimo maestro per molti anni, oltre alla possibilità di lavorare con una squadra di ricercatissimi professionisti, prima fra tutti la costumista Milena Canonero, giusto per intenderci): lo script funziona, le ambientazioni riescono a rendere perfettamente giustizia ad una nazione tanto bella quanto variegata come la Francia, la regia è pulita e priva di inutili fronzoli. Il tutto pervaso da una grazia e da una delicatezza tipiche della commedia francese (quella ben riuscita, sia chiaro). Eppure, Parigi può attendere non riesce, di fatto, a spiccare il fatidico “salto”.
Il vero problema di questo lavoro di Eleanor Coppola è proprio la mancanza di mordente, una personalità un po’ troppo debole che come conseguenza può avere soltanto il confondersi del lungometraggio nella miriade di commedie del genere che ogni anno fanno la loro apparizione in palinsesto e che, tuttavia, sembrano somigliarsi tutte tra di loro. Forse sarà proprio il fatto di essere “la moglie di”, in questo caso, a far sì che in qualche modo ci si ricordi, in futuro, del lungometraggio in questione. Eppure, la figura di Eleanor Coppola in sé indubbiamente fa molta simpatia: un’anziana ma eclettica signora con la passione per l’arte in tutte le sue forme che dopo gli ottant’anni finalmente decide di realizzare la sua opera prima. E, chissà, magari con i prossimi lavori potrà anche regalarci piacevoli sorprese.

Marina Pavido

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