Non il solito biopic
Chiunque abbia visto i primi film della storia del cinema, non può non ricordare la leggiadra figura di una ballerina intenta ad esibirsi nella danza serpentina. Sono stati i Lumière ad immortalarla con le loro telecamere ed a proiettarla in pubblico grazie al neonato cinematografo, così come l’eterno rivale Thomas Alva Edison con i suoi primi film per il kinetoscopio. Le ballerine riprese di volta in volta non fanno che esibirsi in una performance ideata dalla celebre danzatrice Loïe Fuller, americana di nascita ma francese di adozione, che, pur non avendo mai studiato danza in vita sua, riuscì a creare un nuovo modo di intendere il ballo, diventando un vero e proprio fenomeno della Belle Époque ed ispirando anche artisti del calibro di Henri de Toulouse-Lautrec. La straordinaria vita di questa precorritrice del balletto moderno è stata messa in scena dalla regista francese Stéphanie Di Giusto, qui alla sua opera prima dopo un’importante gavetta nel mondo dei videoclip e della fotografia. Il film in questione è Io danzerò, presentato come film d’apertura della 13°edizione del Biografilm Festival.
Fin da subito il volto particolare e magnetico della cantante ed attrice francese Soko, nei panni della protagonista, si rivela un’ottima scelta per impersonare la Fuller. Ed ecco che fin da subito ci affezioniamo a questa ragazzona americana con un grande talento per il disegno e con una complicata situazione famigliare che la spingerà – anche in seguito ad un tentativo di plagio della danza da lei inventata da parte di una collega – a cercare fortuna nell’illuminata Parigi, dove avrà modo anche di depositare un brevetto e salvaguardare, così, la sua creazione.
Il resto viene da sé. Da questo momento in poi vediamo il successo, la fortuna, gli amori, ma anche la totale abnegazione della protagonista nei confronti della danza. Al punto di trascurare la propria salute. Tutto, insomma, nei canoni del biopic nella sua forma più classica. Eppure, bisogna riconoscerlo, la regia della Di Giusto ha saputo sapientemente evitare una pericolosa retorica, particolarmente frequente in lungometraggi del genere: non ci viene mostrata, ad esempio, la morte della protagonista, non vi è particolare enfasi per quanto riguarda il peggioramento delle sue condizioni di salute, è addirittura assente, al termine del film, la classica didascalia che ci informa circa le sorti della nostra eroina e di chi le è stato vicino. Al contrario, una messa in scena quasi hollywoodiana viene di quando in quando spezzata da momenti di grande impatto visivo ed emotivo: le scene in cui la protagonista è intenta nella sua performance, così come il momento in cui Isadora Duncan danza per le stanze dell’Opéra, ma anche la scena del compleanno dell’agente della Fuller, ambientata in un parco con tutte le ballerine vestite di bianco che stanno quasi a ricordare delle ninfe ed una delicata e leggera musica in sottofondo. È in momenti come questi, dunque, che l’esperienza della Di Giusto nel campo del videoclip si fa sentire.
Al di là della buona riuscita e della messa in scena del lungometraggio in sé, però, la cosa più interessante è proprio il sottotesto che esso contiene. Ciò che qui è stato messo in scena è, di fatto, una grande metafora del cinema e delle sue origini con non troppo velati riferimenti all’eterna disputa che vede Francia e Stati Uniti contendersi la paternità del cinema stesso. La danza serpentina, come già detto, è stata filmata sovente, sia dai Lumière che da Edison. Eppure nessuno di loro viene menzionato in Io danzerò. Scelta voluta o pura casualità? Non possiamo dirlo con esattezza. Eppure il ritratto degli Stati Uniti che viene fuori non è assolutamente tra i più lusinghieri. È qui, ad esempio, che la danza della Fuller viene plagiata (ogni riferimento…). È qui che l’unico interesse di teatranti e produttori sembra essere il denaro. È da qui che viene la ballerina prodigio Isadora Duncan (interpretata dall’enfant prodige, nonché figlia d’arte Lily-Rose Depp), qui non a caso dipinta come una sorta di ninfetta talmente perfetta da essere quasi antipatica e che ben presto finirà per rivelarsi meschina ed approfittatrice. La Francia, dal canto suo, ne esce decisamente vittoriosa, in quanto paese illuminato, dove l’arte sembra essere messa sempre al primo posto e che fin da subito riconosce l’importanza ed il valore artistico di qualcosa di totalmente innovativo come la danza serpentina stessa.
Un lungometraggio, volendo esagerare, addirittura metacinematografico, dunque. Benché, a prima vista, di metacinematografico sembri non esserci proprio niente. Eppure, provando a leggere e ad osservare i diversi strati di cui è composta la sostanza, ecco che classificare Io danzerò come un semplice biopic può sembrarci decisamente riduttivo.
Marina Pavido