Nostra Signora che vegli su di noi
Andare per mare è una grande avventura e può essere davvero un bel modo per guadagnarsi da vivere. Ma può anche essere estremamente pericoloso, il mare non è ambiente adatto all’uomo e ogni volta che egli ci si avventura accetta il rischio. È naturale dunque che pescatori e marinai cerchino protezione, e dunque ecco il fiorire di chiese ed altari consacrati dalla gente di mare per impetrare la protezione dall’alto. I marittimi della costa montenegrina delle Bocche di Cattaro non fanno eccezione e così, su di un isolotto al centro del sistema che collega golfi, stretti e canali al mare è sorta, su di un piccolo scoglio in gran parte artificiale, la chiesa dell’Assunzione di Nostra Signora dello Scalpello. Il regista montenegrino Vladimir Perović ha deciso di renderla l’oggetto del suo ultimo lavoro, Our Lady’s Peace, presentato in concorso nella sezione documentari del 26° Sarajevo Film Festival. Attraverso uno stile che si sviluppa intorno al time-lapse ed alle immagini accelerate in fast-forward il maturo regista realizza un’opera che sembra riflettere e voler far riflettere sul contrasto tra la modernità e l’antichità, in relazione soprattutto alla nozione di tempo.
L’accelerazione delle immagini e l’impiego del time-lapse paiono essere diretti proprio a questo scopo: voler enfatizzare la frenesia della modernità in contrasto con la ieraticità dell’edificio sacro.
Oggi tutto viene esperito in fretta e superficialmente, può la chiesa avere ancora un ruolo che non sia quello di fare da sfondo ad un turismo vorace e disattento? Le orde di turisti che quotidianamente sbarcano sull’isola nemmeno guardano veramente le squisite architetture ed i magnifici dipinti, affreschi e icone, che ne adornano gli interni, fissano sempre gli smartphone, tutt’al più filmano e fotografano, ma davvero non sembrano capaci di soffermarsi sulla bellezza contenuta su quel piccolo scoglio.
Passata la torma un silenzio che sa di secoli torna ad appropriarsi, per quanto in maniera effimera, della chiesa ed allora il regista ci fa un bellissimo regalo, torna sull’isola e ci concede alcuni minuti di muta contemplazione della chiesa e delle opere al suo interno. Ed è nel silenzio e nella solitudine che si recupera il vero spirito del luogo e non si può non restarne incantati. La modernità viene dunque degradata dal regista a rumore di fondo che avvolge la chiesa e ciò che rappresenta, la stringe tra spire che paiono invincibili e sembrano soffocarla, eppure la chiesa resta la suo posto, muta ed indifferente alle vuote sfide di questo mondo moderno. Per secoli ha resistito, anche ai terremoti, resisterà pure a questo. Sembra certo un salto all’indietro quello del regista, ad un mondo che ha già cessato di esistere e che forse è sbagliato idealizzare ma che almeno presenta la virtù di sapere dare il giusto peso al tempo, a come viene impiegato, a come si sceglie di spenderlo. Che senso ha vedere e fare molto se questo molto viene esperito, trangugiato, senza gusto, senza nemmeno assaporarlo. In fin dei conti il messaggio del regista non sembra poi essere un salto all’indietro, quanto un saggio pro-memoria.
Luca Bovio