Il labile confine tra umanità e legalità
Tra i premiati della 42ma edizione del Bergamo Film Meeting, per la sezione Visti da Vicino, il documentario danese di Martin B. Gulnov Når vandene deles / Murky Waters racconta una storia di umanità, coraggio ed altruismo, quella del Team Humanity, Organizzazione No Profit per il soccorso dei rifugiati attiva dall’agosto 2015 sulle spiagge di Lesbo.
L’escalation del 2015 del conflitto siriano ha causato l’esodo di milioni di rifugiati attraverso la Turchia verso l’isola greca di Lesbo, ponte verso l’Europa ed una nuova vita; il giovane Mo Abbassi crea il Team Humanity insieme a Reda Zamzam e Salaam Aldeem per assistere e salvare i rifugiati che arrivano sull’isola, fornendo i primi aiuti e portandoli nel vicino campo profughi Oxy. Dopo mesi di lavoro volontario e di sbarchi, un singolo episodio – il soccorso ad un barcone che sta affondando in attesa dell’intervento della guardia costiera – mette in discussione tutto il suo operato: Mo Abbassi viene arrestato ed accusato di traffico di esseri umani. Attraverso numerosi incontri con il suo avvocato difensore, Mo è costretto a rendere conto di ogni passo e azione compiuti da lui e dalla sua squadra di volontari. Man mano che assistiamo agli eventi reali che hanno portato all’arresto, l’avvocato di Mo diventa sempre più preoccupato per alcune prove fondamentali ma non giustificabili. L’esito del processo, se negativo, condannerebbe Mo ad una reclusione fino a 10 anni.
Al film è stato assegnato il Premio della giuria CGIL “La sortie de l’usine”, con questa motivazione: «”Chi salva una vita salva il mondo intero”… questo film ci mette di fronte alla necessità di non lasciare a pochi questo compito, alla responsabilità di non permettere che chi – come il protagonista – lascia lavoro e famiglia per seguire il richiamo della solidarietà non siano criminalizzato e isolato nella rimozione e disillusione generali. Facciamo della memoria e della solidarietà un impegno comune».
Alternandosi tra racconto e testimonianza, Murky Waters porta lo spettatore dalle spiagge greche al freddo studio dell’avvocato difensore di Mo, dalla speranza di poter essere d’aiuto alla inconcepibile realtà di rischiare una condanna per aver fatto del bene a chi ne aveva bisogno, facendo riflettere sul confine tra umanità e legalità.
Il desiderio di aiutare i rifugiati nasce dalla iniziale assenza di azioni significative da parte delle autorità; prima dell’intervento della Croce Rossa Internazionale, per mesi il Team Humanity ha soccorso barconi provenienti da territori in guerra approdati sulle spiagge di Lesbo, a proprie spese e con l’ausilio di donazioni private. Le lamentele sulla guida veloce dei volontari per portare i rifugiati al campo li spingono ad un passo ulteriore; prestare il loro aiuto in acqua, salvando chi si trova su gommoni che stanno affondando. Qui entrano in gioco la guardia costiera e le leggi internazionali, e con essi il rischio di condanna per traffico di esseri umani.
Il racconto di Mo, nato e cresciuto in Danimarca ma figlio anch’egli di rifugiati, giunti dalla Palestina nel 1979, è colmo di umanità verso chi cerca rifugio dagli orrori della guerra; così come quelli degli altri cofondatori del Team Humanity, Reda e Salaam. La solidarietà tra volontari viene messa in crisi dall’arrivo di quelle che possiamo definire “ONG accreditate”; ma non per questo viene meno il desiderio e la volontà di aiutare.
La regia di Gulnov mette in risalto, per certo verso, anche la diversa considerazione che il mondo, e la legge in primis, ha per chi salva una vita; la frase che Spielberg ha reso celebre in Schindler’s List “Chi salva una vita, salva il mondo intero” è tratta dal testo sacro ebraico Talmud, ma dovrebbe valere per ogni essere umano, di qualunque etnia o religione. Come dice lo stesso Mo, il suo desiderio di aiutare non è rivolto a cristiani o musulmani, ma agli esseri umani. E il suo stesso avvocato dichiara che perdere questa causa significherebbe criminalizzare la solidarietà e perdere il senso stesso di umanità.
Michela Aloisi