Una voce nella notte
In molti sono convinti che per fare un buon film sia necessario avere una storia complessa, stratificata, piena di svolte e di personaggi. Eppure, così non è. Non sempre almeno. A volte basta solamente saper sviluppare efficacemente uno spunto iniziale. Ciò che, in termini tecnici, viene definito MacGuffin, ovverosia, un semplice espediente narrativo. Ci offre una buona testimonianza di quest’ultima asserzione, il lungometraggio Non riattaccare di Manfredi Lucibello, in sala dall’11 luglio. Liberamente tratto dal romanzo omonimo scritto da Alessandra Montrucchio, il film ci riporta al marzo 2020, al primo lockdown per il Covid. Qui, Irene, una Barbara Ronchi autrice di una sontuosa prova attoriale, riceve a tarda notte la telefonata del suo ex, Pietro, cui dà fantasmatica presenza Claudio Santamaria. La donna capisce che qualcosa non va e parte in auto per Santa Marinella in un viaggio a tratti sia allucinato sia catartico. Lucibello è qui alla sua seconda prova in un lungometraggio di finzione dopo l’interessante Tutte le mie notti del 2018. In mezzo, alcuni documentari. Con la pellicola del 2018, questo film condivide la dimensione da film notturno, dalle atmosfere quasi irreali. E anche una dimensione fortemente dialogica. Manfredi Lucibello pare dunque confermare di essere un autore interessato soprattutto a costruire opere basate sulla parola e sull’introspezione psicologica. Ciò nondimeno, non si dimentica di essere un regista di cinema e non di teatro. La macchina da presa è molto mobile e il suo occhio si concentra sui dettagli con primissimi piani. Ciò permette di notare espressioni minime nello sguardo e nel corpo, soprattutto della protagonista. Notevole, poi, come riesca a costruire una narrazione ed un ritmo che sfuggano dal facile rischio di risultare statici e finire, dunque, per annoiare lo spettatore. Tutto il viaggio in macchina per le strade notturne e deserte, gli incontri, gli scontri, stabiliscono un doppio piano narrativo e dimensionale che risultano intersecati fin da subito. C’è la dimensione del dramma emotivo intimo che si coagula intorno all’ininterrotto dialogo telefonico tra Irene e Pietro; e c’è la dimensione dell’azione, del rapporto esterno del singolo con il mondo. Ecco, anche se il primo paragone lo si può fare con Locke (2013) di Steven Knight con Tom Hardy, forse, un rapporto più stretto, Non riattaccare lo può vantare con certo dramma psicologico ed emotivo del teatro nordico di autori quali Strindberg e Ibsen. Opera che si discosta di molto dal cinema italiano presente e passato, il film di Lucibello riesce a tenerci avvinghiati ad una storia esile, nata da un pretesto narrativo, ma che il suo cinema rende reale e tangibile. Film non facilissimo di cui parlare, proprio in virtù della sua condizione eterea di opera nata da un MacGuffin, ma forse, proprio per questo, particolarmente affascinante e ammaliante, esattamente come uno di quei notturni che il compositore Chopin amava tanto scrivere. Da vedere, il film di Lucibello. Da ascoltare, i notturni di Chopin.
Luca Bovio