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Nomi e cognomi

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VOTO: 5

La fine è nota

Il fatto che sia proprio il cinema ad essere assente in un film come Nomi e cognomi non deve necessariamente sorprendere più di tanto. Ed anzi, per tutta una serie di motivazioni, rappresenta forse l’aspetto meno rilevante della questione. Il problema, diciamo così, diventa di mero contenuto allorquando il film vorrebbe diventare, come recita il lancio pubblicitario, il veicolo di un messaggio importante e positivo da destinare ai giovani di questo paese, dove tutto gira, per loro, all’incontrario. Cosa di cui qualsiasi persona dotata di un minimo senso critico è perfettamente a conoscenza. Al termine della visione del film, per l’appunto, ci si chiede quale tipo di concetto abbiano sviluppato produttori e autori di Nomi e cognomi del paese reale e dei suoi giovani abitanti. La vicenda narrata è di certo esemplare, sino all’eccesso. Un giornalista integerrimo – Domenico Riva, simbolo fittizio di tanti altri giornalisti ricordati sui titoli di coda – scende da Milano in un non specificato paese del sud Italia (quindi simbolico…) per raccontare la verità sugli sporchi affari mafiosi compiuti ai danni della popolazione ignara. Come direttore del giornale lo seguono ciecamente un gruppo di ragazzi ambosessi, tra redattori e collaboratori vari.
La trappola, in tutta evidenza, era quella di fare della figura di Riva una sorta di “santino” da opporre ad una malavita brutta, sporca e cattiva, mai subdola e furbescamente mescolata tra la gente comune come invece accadde nella triste realtà. Molto a corto di ispirazione la sceneggiatura di Camilla Cuparo calca la mano sul percorso cristologico di Riva, con tanto di giovani apostoli pervasi da entusiasmo fideistico e ricorrendo persino alla presenza di un traditore alla Giuda Iscariota, tanto per non farsi mancare nulla. La caduta del film – a cui ovviamente non giovano affatto i toni da fiction televisiva imposti dal regista esordiente (nel genere di finzione) Sebastiano Rizzo, un passato assai nutrito da attore proprio nel ramo – a questo punto è inevitabile, accentuata dalla totale mancanza di credibilità che va assumendo il personaggio principale, quello di Riva, che non si pone quasi dubbi di alcun tipo nonostante minacce morali e fisiche sempre più evidenti e dal tenore crescente, nonché allontanamento dalla propria famiglia causa trascuratezza da parte del medesimo a beneficio del lavoro. Pare quasi un’investitura divina, per l’appunto. Siamo insomma ben lontani dal livello di sincerità e pathos proposti da esempi più o meno recenti di cinema civile su argomento affine come ad esempio I cento passi di Marco Tullio Giordana (2000) o Fortapàsc di Marco Risi (2009), di ben altro spessore drammaturgico nel trattare le vicende umane di persone realmente esistite come Peppino Impastato e Giancarlo Siani.
Se dunque la platea giovanile italica ha, senza dubbio, disperatamente bisogno di film “pedagogici” che possano in qualche modo fornire un minimo ordine di priorità esistenziali ormai perso in un caos sociologico che offre pochissimi punti di riferimento – anche se quest’ultimo non dovrebbe rientrare, a rigor di logica, tra i compiti specifici del cinema e dell’arte in generale – dispiace che nel caso di Nomi e cognomi si debba giocoforza parlare di occasione malamente sprecata. Perché il lungometraggio, più che brutto oltre il difendibile, risulta al tirar delle somme del tutto inutile. Con la responsabilità che non va assolutamente attribuita al volenteroso cast – Enrico Lo Verso nei panni del protagonista recita con il pilota automatico; i giovani interpreti sono sufficientemente spontanei, mentre affidare la scena madre a Maria Grazia Cucinotta, moglie di Riva nella finzione, ha richiesto senza dubbio una buona dose di coraggio – e nemmeno alla comunque rivedibile regia o alla a dir poco imperfetta sceneggiatura; bensì ricercata verso qualcuno un po’ più un alto nell’ipotetico ordine gerarchico del film. Ed il pensare che una piccola produzione non abbia alcun tipo di coraggio nel rischiare in un progetto che esca dai binari della prevedibilità più assoluta lascia spazio davvero a qualsiasi tipo di congettura. Alla domanda che verte sulla non trascurabile questione di chi ricavi benefici da film della levatura di Nomi e cognomi, ebbene alla fine della fiera ognuno può darsi la risposta che crede.

Daniele De Angelis

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