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Noces

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VOTO: 5

Un incompiuto dramma belga sulle culture immigrate e sull’integrazione fallata

Scappo se mi sposo. E se non m’ammazzate prima. Nozze. Combinate e obbligate. Nodo scottante ma abusato dell’opera dell’ex giornalista Streker, in Selezione Ufficiale alla Festa del Cinema di Roma 2016, strozzato tra dramma familiare e film di denuncia. Noces parte come racconto di formazione in medias res per impantanarsi, freddo e statico quanto la sua fotografia pur simbolica, in uno schematico già visto che perde contatto con i suoi stessi personaggi.

Una comunità avvinta da un pregiudizio invisibile sotto la coltre di occidentalizzazione. Vita di periferia rispettabile quanto rabbiosa nel nitore indifferente dell’habitat borghese belga. Tende rosse alle finestre, cene vibranti, sorrisi affabili, pistole nel cassetto, chat virtuali, affetti negati. Respira densamente di contrasti e della inesorabile prevedibilità della vicenda il film scritto e diretto da Stephan Streker, emotivamente anestetizzato ed iconicamente aspro, brutale quanto la cannula da qui fluisce via il feto di Zahira.

Zahira, pakistana di “seconda generazione” in terra belga, è una fresca diciottenne cresciuta in un’apparente libertà di costumi nel suo quartiere composto, pulito e interrazziale, ha le sue amiche e i suoi fidanzati. Quando resta incinta la sua famiglia la sostiene/costringe ad un aborto che inizialmente la ragazza vuole evitare, accettando quando si accorge che i suoi personali progetti di indipendenza sono impraticabili e illusori. Ma il nucleo del racconto si sposta dal pretesto dell’aborto, al matrimonio combinato e a distanza, con perfetti estranei (s)visti attraverso Skype, che diviene molla per la rottura definitiva anche se non abissale di Zahira con la famiglia, avvolta da una colte di incomunicabilità nel rispetto di tradizioni  che appartengono solo in parte alla identità ancora in evoluzione di Zahira. La madre iper religiosa e inamovibile, il padre affettuoso ma terrorizzato dall’ostracismo da parte della società pakistana, il fratello compagno di vita ma prono alle necessità difensive della famiglia, alle quali si è già piegata la figlia maggiore. Intanto le istituzioni, ospedale, scuola, servizi sociali, mostrano le lacune di un melting pot abborracciato che non offre strumenti alla comprensione, allo scambio e al supporto trans-culturale. E dove amicizie e legami non riescono, osano, lottano per scalfire la barriera comunicativa che impedisce quello scambio.
Zahira è quindi condannata sin dalle primissime scene, in primissimo piano, ad un tragico breve viaggio intorno ad un destino scritto sin dalla sua nascita e tracciato da Streker con volontà analitica e divulgativa, ma perdendosi tra svelamento della confusione identitaria della giovane donna e più ampio ritratto sociale, piccole esili sottotrame e desiderio di denuncia e divulgazione dei fallimenti della cosiddetta integrazione.

Sarah Panatta

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