Si tira fino al mattino
Nel viaggio a tappe nelle cinematografie del Vecchio Continente che ogni anno il Festival del Cinema Europeo ci fa compiere attraverso le pellicole selezionate nel concorso lungometraggi, in questa 23esima edizione troviamo una rappresentante lettone. Tra i dieci titoli in corsa per un riconoscimento nel palmares della kermesse pugliese figura Neon Spring di Matiss Kaža, presentata in quel di Lecce dopo le prime apparizioni sugli schermi dei festival di Edimburgo, Helsinki e Riga. Vetrine, queste, tutte prestigiose, nelle quali l’opera seconda del regista svedese di adozione lettone ha avuto delle occasioni per mettere in mostra le indubbie qualità tanto tecniche quanto interpretative. Nel mezzo un lavoro di scrittura dall’approccio quasi documentaristico con il racconto in gran parte basato su racconti di esperienze reali, che mira a portare sullo schermo, con onestà e autenticità, un affresco che vuole esplorare, senza essere pedante o predicatorio, la complessità delle relazioni giovanili, delle scoperte sessuali, della solitudine e dell’evasione.
Neon Spring copre un arco temporale di due mesi della vita di Laine, una studentessa universitaria di un tiepido sobborgo della classe media in Lettonia. Mentre suo padre prende le distanze dal suo matrimonio che si sgretola e dalla sua famiglia, Laine non è in grado di far fronte a questa separazione e scopre così il mondo delle audaci feste di Riga, dove si innamora dell’esperta raver Gunda. Passando di rave in rave, le ragazze viaggiano in un mondo sotterraneo alimentato dalla droga in cui regnano anarchia, libertà ed esplorazione.
Il risultato è un romanzo di (de)formazione e al contempo un’istantanea in presa diretta della generazione lettone, immersi dal primo all’ultimo fotogramma a disposizione nella scena della musica elettronica underground di Riga. Un elemento, quello musicale, che funge da trait d’union tra le due chiavi del racconto, che oltre a fare da colonna sonora ne diventa anche la cornice all’interno della quale la protagonista e i personaggi che le ruotano intorno si muovono come biglie impazzite in un flipper. Si parte ovviamente dalle dinamiche, dai temi e dagli stilemi classici del coming-of-age, compresi i conflitti familiari e sentimentali, i tormenti, le trasgressioni e le estasi di una ragazza alla disperata ricerca di sentimenti nuovi e appassionati, per poi allargare gli orizzonti del racconto al mondo martellante e psichedelico della techno. Modus operandi che riporta la mente, per assonanze, a quel piccolo gioiellino lituano firmato da Saulius Baradinskas che risponde al titolo di Techno, Mama. Musica che accompagnerà senza sosta le varie fasi del racconto, aumentando di volume e intensità a seconda degli stati d’animo di Laine e delle sue discese negli abissi della perdizione e della sperimentazione sessuale. Qui le influenze di Gaspar Noé si sentono e si vedono tutte. Il resto lo fa il talento cristallino e ancora grezzo di Marija Luize Melke, al suo esordio sul grande schermo, che regala un’interpretazione che lascia il segno e che dovrebbe spingere gli addetti ai lavori a tenerla sottocchio da qui ai prossimi anni.
Francesco Del Grosso