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Natale col boss

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VOTO: 6

Citazionisti (poco) anonimi

La guerra natalizia cinematografica, accadimento socio-antropologico sempre degno di attenzione al botteghino italiano, è entrata nel vivo. Con Pieraccioni già sceso in campo e in attesa di Checco Zalone, questa settimana mettono in campo la loro “potenza di fuoco” il cinepanettone classico vergato Neri Parenti e questo Natale col boss, diretto da Volfango De Biasi ma la cui produzione targata De Laurentiis garantisce la denominazione festiva – peraltro presente già nel titolo – ad origine controllata. Vedremo chi la spunterà, anche se il conflitto rischia di tramutarsi in una guerra tra poveri vista la presenza nel periodo di numerosi spauracchi provenienti da oltreoceano.
Cominciamo comunque col dire che Natale col boss, per ispirare simpatia, usa le armi del cinema ed è comunque un bel passo avanti, rispetto alla media dei prodotti di stagione da anni a questa parte. In una storia dall’aspetto poliziottesco, ovviamente parodizzato dal suo interno, risaltano echi di tanti film che nel passato hanno conquistato il cuore dei cinefili di più generazioni. Basta dare uno sguardo non distratto alla trama per comprendere immediatamente il fatto che gli sceneggiatori hanno diligentemente fatto i classici “compiti a casa”, portando a termine un lavoro di impianto certamente derivativo ma che permette a Natale col boss di farsi seguire senza alcun effetto collaterale anche per gli amanti di un cinema che si attesti su differenti standard qualitativi. Una situazione alla Face-Off innesca il plot: un potente boss della camorra, immortalato fotograficamente da due poliziotti tanto volenterosi quanto inetti (la coppia Ruffini/Mandelli), decide di rifarsi i connotati per ritrovare l’incognito. Niente di meglio, dunque, che far rapire a Milano i chirurghi plastici del momento (Lillo e Greg) per costringerli al delicato intervento. Tuttavia, colpo di scena, qualcosa va storto. I due artisti del bisturi equivocano ed invece della richiesta somiglianza con Leonardo Di Caprio trasformano il boss in un perfetto sosia di Peppino Di Capri, per l’occasione cooptato in un duplice ruolo. In fondo la differenza sta solo nella vocale in più alla fine… Da qui in poi una sequela di situazioni equivoche abbastanza riuscite, che richiamano alla memoria gag di qualità alla Johnny Stecchino o Fracchia, la belva umana – cioè il meglio della commedia made in Italy con sdoppiamenti di personaggi – senza peraltro trascurare, in questa sorta di affettuosa full immersion nella malavita partenopea, situazioni che esplicitamente citano il Gomorra di Matteo Garrone o l’omonima serie televisiva tratta dal testo di Roberto Saviano. Quasi una rivisitazione in chiave comica di quello che è rapidamente divenuto un vero e proprio immaginario cine-televisivo facente ormai parte della cultura italiana. Meccanismo ben oliato, insomma, ma anche con buona scelta tempistica: essere i primi a fagocitare e rielaborare un sottogenere può anche rappresentare un titolo di merito di cui andare fieri, in momenti di grama come quelli che da anni vive la nostra commedia, un tempo remoto gloriosamente sugli scudi.
Per cui alla fine assume relativa importanza che il giochino mostri la corda di una ripetitività ad oltranza per manifesta carenza di nuove idee: un lungometraggio, per definirsi tale, deve avere i suoi bravi tempi di durata e non è certo possibile sopravvivere con successo di solo cinema “altrui”, peraltro ben mistificato. Accontentiamoci dunque di un film che possiede il raro pregio di saper svicolare dalla volgarità approdando persino alla tenerezza (il segmento in carcere, con un “geniale” posto scriptum in coda), nonché di riuscire a mettere sul piatto, con il sorriso, una riflessione non di terza mano sulla società dell’apparenza in cui ci stiamo abituando a vivere. E pazienza se l’equivoco un pizzico misogino attraverso cui si gioca con l’unico personaggio femminile – quello interpretato da Giulia Bevilacqua – sospeso tra fedeltà alla causa e desiderio di “vendersi” al prossimo maschile non è proprio di grana raffinatissima: la domenica al cinema per tutta la famiglia, stavolta, non assumerà l’aspetto di un fenomeno sociologico da analizzare con raccapriccio…

Daniele De Angelis

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