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Natale a Londra – Dio salvi la Regina

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VOTO: 5.5

Cagnolini reali e maschere italiane

Va preso atto che alla Filmauro dei produttori storici De Laurentiis (Aurelio e Luigi) non difetta la coerenza, magari gratificata da qualche buon dato d’incasso. Fedeli alla strada imboccata con il precedente Natale col boss pure questo Natale a Londra – Dio salvi la Regina (il sottotitolo riveste una certa qual importanza…) si muove sulle medesime coordinate. Cioé: uso discretamente saggio e contenuto degli stereotipi made in Italy, pressoché totale assenza di trivialità e un’esilissima trama gialla a tenere insieme una trama che non disprezza incursioni nella commedia di genere più circostanziata e per questo non di grana troppo grossa. In regia ritroviamo Volfango De Biasi, uno che il cinema lo conosce e che prova ad impostare il classico spettacolo per famiglie cercando prospettive dotate di un minimo di originalità cinefila. In Natale a Londra si assiste persino ad una citazione di una citazione – un ralenti di alcuni personaggi con relativa colonna sonora che rimanda a Swingers di Doug Liman, che a propria volta faceva ironicamente il verso a Le Iene di Tarantino – nonché ricorrendo a parole capaci di riprendere in modo letterale il celeberrimo (per retorica) monologo finale di Sly Stallone in Rocky IV. Al cast invece il compito di tenere alto il grado di simpatia del prodotto, con i soliti Lillo e Greg – ormai una garanzia in questi contesti e nell’occasione persino impegnati in una lunga sequenza di scazzottata degna dei grandi Bud Spencer e Terence Hill, tanto per confermare la cinefilia del tutto – a duettare piacevolmente nella parte di due fratelli figli un po’ indegni di un boss della mala romana (Ninetto Davoli, presente all’inizio e alla fine del film) e finalmente un ruolo femminile degno di un qualche spessore affidato alla brava Eleonora Giovanardi già vista in Quo vado? a fare da degna spalla al mattatore Checco Zalone.
Queste le note positive, se vogliamo definirle tali. L’inevitabile rovescio della medaglia invece vuole però che Natale a Londra risulti molto meno divertente del suo predecessore, soprattutto a causa dell’assenza di un “colpo di genio” come quello di cooptare Peppino Di Capri nel doppio ruolo di se stesso e del boss al quale vengono rifatti erroneamente i connotati a sua immagine e somiglianza. Nonostante in quest’ultima “fatica” la sceneggiatura risulti scritta da ben sei persone, i momenti veramente comici latitano alquanto in sede di scrittura, affidati come sono all’improvvisazione del cast. E non è un bel biglietto da visita un CinePanettone (sia pur atipico) non troppo divertente. Manca infatti del tutto in Natale a Londra ciò che maggiormente ci si sarebbe atteso, ovvero il naturale confronto tra la verve italica e la tipica rigidità britannica in fatto di usi e costumi. Si assiste al contrario al consueto fenomeno cinematografico di colonizzazione tricolore in località straniere, già punto fermo delle recenti, tristi, escursioni estere natalizie targate Neri Parenti. Nella Londra del film si parla qualsiasi dialetto nostrano possibile immaginabile, mentre l’inglese è ridotto ad una secondaria apparizione del dog-sitter reale – il plot si fonda sul rapimento dei preziosi e amatissimi Welsh Corgi di corte – e addirittura di una Regina Elisabetta tanto somigliante all’originale quanto disponibile a farsi “imbarbarire” dalle sapienti mani nostrane nel classico finale a tarallucci e vino, con tanto di brindisi di buone feste operato dai protagonisti per sottolineare meglio il concetto.
Certamente Natale a Londra – Dio salvi la Regina (ri)troverà il suo pubblico di riferimento, quello abituato a frequentare le sale di tanto in tanto e, preferibilmente, nel periodo delle Feste. Altrettanto sicuramente il film non metterà di cattivo umore le platee per i motivi cui si accennava ad inizio articolo. Il fatto però che la risata scatti così di rado lascerebbe pensare che un’ulteriore revisione del format potrebbe essere una buona idea: non è affatto detto che un pizzico di sana satira a trecentosessanta gradi costituisca un deterrente così insidioso per l’afflusso in massa del pubblico. Se nemmeno si tenta…

Daniele De Angelis

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