La doppia vita di Nana
Il colpo di stato a opera di Suharto, che negli anni Sessanta ha stravolto l’Indonesia, operando una violenta campagna anticomunista, ha avuto inevitabili conseguenze sugli abitanti del luogo. Molti uomini sono stati rapiti o uccisi, mentre altrettante donne sono state costrette a sposare alcuni capibanda, nel caso in cui non fossero riuscite a scappare facendo perdere le loro tracce. Partendo da questi eventi particolarmente significativi per il suo Paese d’origine, dunque, la giovane regista Kamila Andini ha realizzato il lungometraggio Nana, presentato in anteprima mondiale e in concorso, alla 72° edizione del Festival di Berlino.
Da sempre interessata a storie di donne che, nel corso della loro vita, hanno dovuto affrontare prove particolarmente difficili, la cineasta ha messo in scena, dunque, le vicende di Nana, appunto, una donna sensibile ed elegante, che, in seguito al suddetto colpo di stato, è riuscita a scappare insieme a sua sorella. Suo marito era stato precedentemente rapito, mentre suo padre era stato ucciso. Dopo molti anni, la donna si risposerà e avrà dei figli, cercando di adattarsi a un nuovo contesto sociale e a una vita agiata. Cosa accadrà, tuttavia, quando il passato – mai del tutto dimenticato – tornerà a bussare alla sua porta?
Questo intenso e importante lungometraggio di Kamila Andini parla attraverso ricordi e sensazioni. Ricordi e sensazioni che riaffiorano durante i sogni, che si rivelano, a volte, più vivi che mai, ma che, spesso, restano del tutto incompleti. Ricordi e sensazioni che conferiscono all’intero lungometraggio un delicato tocco di realismo poetico.
La vita di Nana scorre quasi su due livelli paralleli: di giorno, la donna cerca di adattarsi a una vita che non ha mai sentito sua fino in fondo, circondata dall’affetto dei figli (particolarmente intenso e ben descritto, a tal proposito, il rapporto con sua figlia minore Dais) e di suo marito, molto più anziano di lei, indubbiamente affettuoso, ma che la tradisce da tempo con un’altra donna; di notte, invece, incontri inaspettati con il suo primo marito e situazioni legate al passato le fanno capire che, forse, il posto in cui vive non le è mai appartenuto realmente. Allo stesso modo, la regia attenta e delicata di Kamila Andini evidenzia ulteriormente tale differenza tra i due mondi, in cui, di fianco a colori accesi del “mondo reale”, immagini più sfocate stanno a sottolineare ricordi che rischiano di svanire per sempre. O forse no?
Poi, ovviamente, c’è un tenero rapporto tra madre e figlia. Dopo la morte del primogenito in seguito alla sua fuga durante il colpo di stato, Nana ha avuto altri due figli dal secondo marito, ma, per paura che anche a loro potesse capitare qualcosa, ha preferito farli allevare da alcuni parenti. Soltanto, appunto, quando è nata la piccola Dais ha deciso che, finalmente, avrebbe voluto avere la figlioletta vicino a sé. Il loro rapporto va al di là di ogni ostacolo e a esso la regista dedica una particolare attenzione, soprattutto nel momento in cui la protagonista si troverà di fronte a un bivio.
La storia di Nana, dunque, è la storia di tante donne che, come lei, hanno visto la loro vita stravolta per sempre. Questo raffinato e fortemente introspettivo Nana è un vero e proprio messaggio d’amore rivolto a loro da parte della regista stessa. Il tempo non potrà mai cancellare la memoria. Il passato, in un modo o nell’altro, non morirà mai.
Marina Pavido