Maternità progresso
Se proprio volessimo chiamarla impresa, al giovane regista nostrano Ivan Silvestrini sarebbe senza dubbio riuscita. Realizzare cioè un film simulacro perfettamente aderente alle regole commerciali d’oltreoceano. Monolith è infatti un dramma umano travestito da thriller, girato in quelle zone desertiche così sfruttate nel cinema da diventare spontaneamente una sorta di “non luogo” proiettabile in un futuro nemmeno troppo distopico. Al centro della narrazione c’è Sandra (Katrina Bowden, anche lei replicante, sia nel fisico che in fatto di determinazione, dei personaggi su cui ha costruito le sue fortune Jennifer Lawrence), giovane mamma con pargolo al seguito on the road con destinazione Los Angeles. Ma soprattutto c’è Monolith, la nuova automobile iper-tecnologica e strasicura, efficacemente presentata nella diegesi da uno spot – finzione nella finzione – ad inizio film. Facile dunque immaginare come essa avrà un ruolo di una certa qual importanza nell’ambito del film. Senza peraltro ricorrere a possessioni misteriose o diaboliche come accadeva nel caso dei classici La macchina nera di Elliot Silverstein (1977) e Christine – La macchina infernale di John Carpenter (1983), tanto per restare in tema.
Silvestrini, teso a far dimenticare a colpi di sequenze spettacolari il trascurabile 2Night, e gli altri tre sceneggiatori – Elena Bucaccio, Stefano Sardo e Mauro Uzzeo, con quest’ultimo coautore assieme a Roberto Recchioni del bel fumetto ispiratore edito dalla Bonelli – sono bravi nel creare un atmosfera di tensione, prima nella descrizione di un mondo ostile (l’incontro/scontro di Sandra con una banda di giovani bulli ambosessi all’autogrill) per poi arrivare al nocciolo della storia. E della questione. La sciagurata accensione di una sigaretta in auto da parte della protagonista – ahi, ahi cari sceneggiatori: d’accordo che il fumo fa male, ma il piccolo David soffre di malattia respiratoria; non si poteva trovare un altro espediente? – innesca una serie di reazioni a catena che culmineranno prima nell’investimento di un cervo e in seguito, a causa di un’altra avventata decisione da parte della donna, le conseguenze ultime porteranno dritte alla situazione più disperata, ovvero quella che vede il modello Monolith sbarrato dall’interno con dentro il bambino in pieno deserto con temperature diurne altissime e Sandra all’esterno, senza avere alcun modo di entrare.
Quasi per inerzia Monolith, inteso come lungometraggio, oltre a regalare al proprio pubblico un’ora e mezza scarsa di alta tensione, fa proprie alcune istanze di sicuro interesse sul futuro che ci si para davanti. La prima questione riguarda un progresso tecnologico che però sarà sempre il singolo essere umano a dover gestire. La cui capacità di commettere errori sarà dunque sempre insita nel dna di appartenenza. A cosa andrà incontro l’umanità quando il “gioco”, ad esempio, si sposterà su strumenti da guerra sempre più perfezionati nella loro pseudo intelligenza? Senza contare anche la possibilità di errore della macchina rispetto a quelle che sono le aspettative umane. Nel plot di Monolith è il navigatore di bordo a far prendere a Sandra la strada sterrata che la condurrà al luogo abbandonato dagli uomini dove si consumerà il dramma. Può dunque un congegno pur perfettamente programmato tenere conto di tutte le variabili di elementare sicurezza? Fin dal titolo gli autori giocano, con una certa, malcelata, ambizione, sul parallelo con il celeberrimo monolito immortalato da 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick; lì seminatore ultra-terreno di vita e violenza, in Monolith oggetto di progresso nonché possibile veicolo di morte “incidentale”. Un messaggio che, sino alla fine, riesce ad essere ambiguo al punto giusto da lasciare al singolo spettatore il corretto margine di giudizio.
Nonostante qualche ulteriore falla in sede di script – possibile che un’auto così avveniristica non possegga un sistema di refrigerazione automatico? – tesa a sottolineare in modo sin troppo evidente l’aspetto drammaturgico di Monolith, ci sentiamo di consigliare questa coproduzione tra Sky Cinema e Sergio Bonelli Editore, all’esordio nella produzione. Poiché Monolith è un film italiano che, finalmente, si rende conto di non esserlo. Evento raro. Da prendere come un complimento, ad oggi. Almeno fino a quando non saremo, felicemente, smentiti.
Daniele De Angelis