Gioventù sbruciacchiata
Il nome di Ivan Silvestrini ci era già noto per svariati motivi. Innanzitutto perché il giovane ed iperattivo cineasta, formatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia, in un periodo che si estende più o meno tra il 2004 e il 2009 aveva sfornato diversi cortometraggi, alcuni dei quali connotati da un linguaggio filmico e da un approccio alla commedia giovanile ugualmente freschi, motivati. Procedendo oltre, c’è da dire poi che tra i tre lungometraggi realizzati finora da regista ve n’è almeno uno, Monolith – Una corsa contro il tempo, che pur con qualche sbavatura nello script ci ha profondamente colpito a causa dell’altissima tensione sprigionata dall’inizio alla fine, nonché per le così intime angosce proiettate nella futuristica idea di un’auto iper-accessoriata e dotata di sofisticati sistemi di sicurezza, quel SUV dalla sagoma scura destinato a trasformarsi nel corso del racconto da gigante su ruote protettivo e benigno a potenziale minaccia. Ecco, a ben vedere nel cinema di Ivan Silvestrini l’ossessione per l’automobile ricompare con una certa frequenza. Peccato però che l’esito complessivo di questo 2night sia invece un film giovanilistico infarcito di luoghi comuni e tutt’altro che memorabile.
Roma by night. L’auto del protagonista maschile è per l’appunto lo strumento che, nell’attesa di un “miracolo” (ovvero un parcheggio che non sia in zona rimozione), consente ai due protagonisti di girare la capitale in lungo e in largo, mettendo al contempo il regista nella possibilità di ritrarre alcuni degli spazi più “in” del momento (si cita ad esempio il Pigneto) dal punto di vista dei due spasimanti, a lungo reclusi nell’abitacolo della macchina. E questo dovrebbe già rendere, almeno in parte, l’idea…
Sì, perché purtroppo in questa occasione Ivan Silvestrini ha deciso (in combutta con gli sceneggiatori Antonio Manca, Antonello Lattanzi e Marco Danieli) di trascinarci in un “Altrove” più spaventoso e letale di quello concepito un tempo da Lovecraft, o più di recente dagli autori di Martin Mystere e Nathan Never. Questo spazio asfittico dell’immaginario lo potremmo anche definire un oltre-Moccia o un oltre-Muccino, con un po’ di fantasia.
Facciamo del resto un piccolo passo indietro, per le presentazioni di rito: i protagonisti di questa avventura sentimentale da consumare tutta in una notte (presupposti vicini, quindi, al cinema di Linklater, ma è ovvio che i toni saranno poi sensibilmente diversi) sono due bellocci le cui schermaglie amorose cominciano, neanche a dirlo, in un localino alla moda. Lui, ragazzone tanto imponente quanto introverso, è un veneto di passaggio a Roma, con un buon lavoro, tante piccole nevrosi e un possibile attacco d’asma sempre in agguato, specie se c’è della vernice fresca nei paraggi. A impersonarlo Matteo Martari. Lei invece è una milanese senz’altro più disinibita, sciolta e aggressiva, ugualmente parcheggiata a Roma, che ama provocare ma allo stesso modo rivelerà strada facendo (e di strada in macchina ne faranno a sufficienza) una sua fragilità. La interpreta una Matilde Gioli, ormai lanciatissima nelle produzioni italiane, cui non difettano certo una voce ed un fisico parimenti sensuali.
Il problema è che a parte mostrare il fisico i due provvisori “ospiti” della capitale, dal momento del loro incontro in poi, non fanno altro che trascinarci in una serie di dialoghi dal cui automatismo escono fuori di continuo infantili provocazioni erotiche, discorsi sulla cacca, blande lamentele esistenziali e osservazioni sul carattere così “indipendente” dei quartieri di Roma, quasi isole nella città, che condividiamo pure ma che avremmo continuato volentieri a sviluppare nel baretto sotto casa. Troppo poco, insomma, persino per giustificare questo lungometraggio indubbiamente snello, appena un’ora e un quarto la durata, già passato a suo tempo in Alice nella Città. E a parte la sensazione di uno spaccato antropologico avvilente (per noialtri cresciuti con film come Tutti giù per terra di Davide Ferrario un simile ritratto generazionale, se veritiero, è qualcosa che infonde un certo sgomento… e fa sentire vecchi a quarant’anni, diciamocelo pure), l’arco narrativo di 2night propone tutt’al più schermaglie sentimentali, incontri improbabili (il terzo incomodo che ha passato la nottata infrattato tra gli alberi, prima di intercettare la coppia, appartiene quasi a una fanta-umanità) e battutine frivole cui risulta davvero difficile appassionarsi.
Stefano Coccia