Quel bravo ragazzo
Cos’altro, a parte una mera questione di interesse sulla rivendita dei diritti televisivi, può giustificare l’uscita in sala di Milionari a ben due anni di distanza dalla presentazione all’allora Festival del Cinema di Roma edizione 2014? Ecco, forse la dimensione da piccolo schermo risulterà, al momento della messa in onda, assai più consona per un film a cui manca del tutto il respiro cinematografico, cioè quella ricchezza di idee capace di fondersi con un percorso di ricerca, magari estetica, originale nell’ambito di un genere. Purtroppo in quest’opera del solitamente più ispirato Alessandro Piva – del quale è bene menzionare, oltre al buon esordio de La capagira (2000), anche la notevole escursione nel noir rappresentata da Henry (2011) – è pressoché impossibile trovare traccia di tutto ciò, nonostante l’epopea criminale ispirata alla reale esistenza del boss camorristico Paolo Di Lauro – trattata con buon approccio “antropologico” nel libro ispiratore scritto da Luigi Alberto Cannavale e Giacomo Gensini – si prestasse ad una disamina approfondita del fenomeno mafioso in un’Italia del sud dove è sempre stato possibile crearsi una “carriera” in un ambito del tutto opposto a quello di una sana operosità lavorativa.
Di Marcello Cavani, questo il nome fittizio del protagonista interpretato da Francesco Scianna, vengono raccontati trent’anni di ascesa nella criminalità organizzata, caratterizzati da improvvise fermate e continue riprese, dai rigogliosi – per gli appartenenti alle cosche – anni ottanta fino al finale triste e solitario quasi contemporaneo. Il primo errore compiuto da Alessandro Piva e dalla sua squadra di sceneggiatori – tra i quali, oltre allo stesso regista, troviamo pure il Massimo Gaudioso di Gomorra (2008) e uno dei coautori del testo di partenza Giacomo Gensini – è quello di osservare la vicenda con uno sguardo sin troppo rispettoso e distaccato, quasi a voler sottolineare la “normalità” di determinate situazioni in specifiche zone d’Italia, nella fattispecie Napoli. Tale scelta di neutralità incide pesantemente sull’apparato drammaturgico di un film che, pur presentando la prevedibile sequela di morti violente, lascia lo spettatore totalmente distante alle immagini mostrate. Abbandonato peraltro in balia di uno storia confusa, con personaggi che vanno e vengono senza soverchie spiegazioni narrative, a cui il ricorso alla voce narrante del protagonista, più che far scattare processi d’empatia, lascia trasparire un solo e discutibile punto di vista. Il paragone con lo scorsesiano Quei bravi ragazzi (1990), evidente punto di riferimento degli autori, resta purtroppo miseramente sulla carta: Milionari non possiede un briciolo del senso di vertigine cinematografica innestato nel suo film da Martin Scorsese e l’amara parabola sul classico sogno americano da delitti e conseguenti castighi nello specifico assume invece i contorni di quel provincialismo tipico di un certo nostro cinema del quale risulta difficile individuare un senso a monte. Troppo banale e moralistico, infatti, trarne una lettura etica sul ricorso ad ogni mezzo illecito praticabile per raggiungere quel benessere economico citato apertamente già dal titolo del film.
Dispiace dunque per un cast dalle facce giuste, compresa una sensuale Valentina Lodovini nella parte della moglie di Cavani, ma artefici di una recitazione talmente disomogenea da infliggere un altro duro colpo ad un film che non riesce nemmeno ad uscire con “l’onore delle armi” del tentativo generoso ma non riuscito: Milionari è solo l’ennesimo esempio di una tendenza tutta tricolore, quella del mafia-movie, da cavalcare in attesa che il filone non si esaurisca.
Daniele De Angelis