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Metro Manila

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VOTO: 7.5

La giungla metropolitana

Oscar Ramirez vive con la propria famiglia in una zona rurale delle Filippine. Come mansione, inizialmente, si occupava della produzione della seta, all’interno di un’azienda a gestione familiare. A causa tuttavia del fallimento della fabbrica, l’uomo si trova costretto a racimolare qualche soldo nelle risaie del posto, con tutti i problemi inerenti il misero ricavo di questo lavoro che impedisce un sostentamento familiare dignitoso. Per questa ragione, l’unica soluzione è sognare di allontanarsi dall’attuale miseria, correndo verso il progresso e il rumore delle nuove metropoli che si stanno innalzando con i loro grattacieli e i loro fruttuosi servizi. La realtà, purtroppo, è ben diversa da quanto si aspettavano: le attività, se esistono, sono sottopagate, e in alcuni casi sviliscono la dignità della persona, che, pur di sopravvivere alla frenesia della città e garantire un futuro ai propri figli, si trova a dover sacrificare i propri principi. La fortuna sembra sorridere a Oscar, che ottiene un’occupazione nel trasporto di oggetti di valore, guidando autocarri blindati al fianco di Ong, che ripone in lui grandi aspettative; mentre la moglie Mai, non trovando nulla, si imbatte in un locale cittadino dove sono alla ricerca di nuove spogliarelliste da proporre al migliore offerente.
Metro Manila è il film di Sean Ellis che gli è valso il premio del pubblico al Sundance Film Festival nel 2013, ottenendo anche una candidatura ai BAFTA Awards nella categoria miglior film non in lingua inglese, e ottenendo tre statuette ai British Independent Film Awards, tra cui quella per il miglio lungometraggio e miglior regia. La storia illustra uno spaccato sociale rilevante nelle Filippine, che in questi anni, con il processo di globalizzazione, sta assistendo anche essa a una crescita economica repentina e irrefrenabile. Il racconto parte da una voce fuori campo, quello del protagonista Oscar, che si rivolge al pubblico con questa frase spiazzante che ha imparato nel periodo di addestramento militare: “Se sei nato per essere impiccato, allora non annegherai“. Una frase che può avere una duplice lettura: un buon auspicio, visto che il personaggio in questione si è salvato da un attacco criminale ai danni dell’azienda manifatturiera di tessuti per la quale inizialmente lavorava, ma anche un presagio, un dettaglio da non sottovalutare. Il protagonista, dopo l’omicidio dell’imprenditore, non solo viene spinto a compiere un’attività usurante e per nulla remunerativa, ma viene obbligato ad abbandonare il territorio portando la famiglia allo sbando verso un futuro ancora ignoto.
Il contrasto tra la zona rurale e la metropoli in costruzione è visibile sin dalle inquadrature e dal suono scelto da Ellis. I campi lunghi che mostrano le risaie silenziose e avvolte nel verde, vengono opposti, anche attraverso un montaggio più dinamico, da campi medi di una città più vicina a una giungla che a una struttura ordinata, visti i rumori che avvolgono i protagonisti, dalle auto che sfrecciano per le strade agli schiamazzi della gente impegnata in una parata del quartiere. In questo mondo veloce e instabile la famiglia è subito in difficoltà, perché è totalmente vulnerabile alle logiche di un sistema basato su una concezione individualistica. Ed è qui il fulcro interessante che la storia propone: da un lato, la fiducia e la speranza che Oscar ripone alla città per innalzare il suo livello socio-economico (nel film ritorna spesso la frase “In God we trust“, sia nelle vette dei grattacieli che nelle parole dei coniugi Ramirez), dall’altro il ricatto e l’inganno che Manila, a causa dei suoi abitanti, ricambia dopo le scelte dei personaggi.
Quando invece il racconto cambia registro, passando da una descrizione sociologica verso un genere più vicino al thriller, la storia perde gradualmente il suo fascino e la sua capacità di imprimere direttamente la sua analisi critica e il suo messaggio, giocando invece su un intreccio di eventi narrativi e di colpi di scena che funzionano in termini di suspense, ma che stonano di fronte a quanto mostrato, egregiamente, in tutto l’arco del film.

Riccardo Lo Re

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