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Marisol

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VOTO: 6.5

L’attesa del grande giorno

È all’insegna del fai da te o quasi se non fosse per qualche sporadico supporto tecnico in fase di ripresa il leit motiv della lavorazione di Marisol, saggio di diploma con il quale Camilla Iannetti ha terminato il suo periodo di formazione al Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo. Ed è con questo documentario, presentato nel concorso italiano della quinta edizione di Visioni dal Mondo, che la giovane regista ha dovuto e voluto affrontare in navigazione solitaria (ma assistita) un intero processo creativo dal suo primo vagito al final cut. Una condizione che a conti fatti si è rivelata forse il punto di forza dell’operazione, con il lavoro individuale che, visti i temi affrontati, le tipologie di soggetti ritratti e la ristrettezza delle topografie dei luoghi che hanno fatto da cornice al racconto, ha permesso di creare una piena sintonia tra chi filma e coloro che vengono filmati.
Nel mezzo la bravura, nonostante le difficoltà riscontrate sul campo che come vedremo hanno influito sul prodotto finale, di un’autrice ancora acerba da un punto di vista formale ma dal potenziale intrinseco cristallino. Una bravura che si palesa nel momento in cui, rotto il ghiaccio e conquistata la fiducia dei protagonisti, riesce a entrare con la videocamera nella sfera privata di una famiglia per restituirne l’intimità. Il tutto senza violarla o alterarla, ma in una posizione di ascolto e osservazione pura di chi sa aprire il cuore prima di premere il tasto del Rec.
Tra le quattro mura domestiche e negli spazi pubblici dove alla macchina da presa sarà concesso di svolgere il proprio compito, questa con un pedinamento delicato e discreto in punta di piedi rintraccerà una piccola e scarnificata drammaturgia costruita attraverso la cattura del quotidiano. Attraverso di essa e le emozioni cangianti che ne scaturiscono, il documentario porta sullo schermo il percorso di avvicinamento di una bambina di nove anni di nome Marisol a un giorno importante, quello della Prima Comunione. Un evento vissuto e sentito in maniera viscerale dalla giovane protagonista e dalla sua famiglia composta da tre bambini e da un padre rimasto vedovo che sbarca il lunario (esattamente il contrario di come lo vive la Marta di Corpo celeste per intenderci) in quel di Capo, uno dei rioni popolari di Palermo, dove da secoli si professa il culto della Madonna della Mercede (in dialetto Maronnammiccè). Ed è nel rapporto spirituale con la Madonna che Marisol costruisce per sé un mondo di evasione e di transfert emotivo, laddove alla mancanza di una figura materna venuta meno si sostituisce idealmente quella sacra.
Tutto ciò, compreso il tema del rapporto padre-figlia, è restituito con molta efficace, peccato che a fare da contrappeso, depotenzializzando l’esito, arrivino dei paletti piuttosto evidenti a rendere la strada meno in discesa. Si parte da quei minuti di troppo nella parte iniziale nei quali si manifesta una certa fatica ad ingranare. Poi quando ciò accade Marisol inserisce la marcia giusta per mostrare il lato migliore di sé. Un lato dove purtroppo viene meno un elemento che se sviluppato, al contrario, avrebbe alzato l’asticella e garantito al documentario una maggiore sostanza e un fuoco ancora più preciso. Il non essere riuscito a raccontare il tema della perdita della madre e della moglie, infatti, pesa in maniera determinante sull’economia narrativa e drammaturgica. In tal senso, è venuto meno un tassello importante della storia e non possiamo non prenderlo in considerazione ai fine dell’analisi critica.

Francesco Del Grosso

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