Mors tua vita mea
Dopo esser stato presentato all’ultimo Festival di Locarno, Marija di Michael Koch è stato scelto per aprire ufficialmente la 35esima edizione del Bergamo Film Meeting, tracciando, a suo modo, una linea programmatica ancora più evidente nelle scelte della kermesse: lo sguardo sul nostro oggi.
Protagonista di quest’opera prima è Marija (Margarita Breitkreiz), un’immigrata ucraina che vive a Dortmund, in Germania, dove viene messa continuamente alla prova dal mondo che la circonda, fortemente maschilista.
Quando il lungometraggio ha inizio, lo spettatore recepisce immediatamente il rumore dei passi; subito dopo la macchina da presa è alle spalle della donna, la segue e questo sarà un tratto distintivo che tornerà durante Marija fino a un momento di svolta che non vogliamo anticiparvi. Quello che possiamo affermare è che il regista svizzero-tedesco marca, giocando col modo di inquadrare la protagonista, l’“evoluzione” del personaggio. Ritornando all’incipit, il pubblico si ritrova a scoprire il suo volto pian piano, solo quando sta salendo le scale per arrivare in casa, da cui si intuisce il suo stato sociale ed economico. La finezza registica sta anche negli accostamenti, si passa, infatti, dal bagno della sua abitazione alla vasca extra lusso della stanza d’albergo dove fa le pulizie.
Nonostante Marija sia in una condizione di sopravvivenza, anzi sarebbe più corretto dire al limite quando perde il lavoro in hotel, non ha rinunciato a sognare e continua a coltivare il desiderio di aprire un salone da parrucchiera. Sarà questo obiettivo a darle la spinta per andare avanti, accettando compromessi, adeguandosi a un diktat non detto ma che viene applicato pur di resistere nella giungla.
Margarita Breitkreiz è molto intensa nel raccontare questa donna, di cui emerge più la determinazione, che non le fragilità; non la si vede mai cedere a momenti di pianto, paradossalmente anche quando va oltre un certo limite ci immaginiamo riesca a conservare una dignità. La macchina da presa riprende i suoi silenzi, gli occhi azzurri parlanti e al contempo impenetrabili, sembra come se Marija sia impermeabile alle emozioni, ora calcola il disegno per raggiungere ciò che vuole, ora riesce a essere anche umana. A un tratto, un uomo (Georg Friedrich) sembra scioglierla o quantomeno inizia ad abbattere il “muro”, ma nulla è come appare.
Marija si va a sommare a quelle opere che stanno sempre più tratteggiando la condizione umana in relazione anche al lavoro, vedi Io, Daniel Blake di Ken Loach o Techo y comida di Juan Miguel del Castillo.
Per quanto riguarda Marija avrebbe giovato ulteriormente all’economia del film asciugarlo di alcuni minuti, tenendo conto del ritmo conferito alla narrazione, ma resta un film che rilancia degli interrogativi sul nostro presente ed estremamente esistenziali: fino a che punto ci si può spingere per rimanere a galla?
Maria Lucia Tangorra