Un simbolo inscalfibile
Affermava con ironia Peter Cushing, attore inglese di razza nonché famoso per battersi contro nemici in apparenza insuperabili (persino Dracula/Christopher Lee!) in horror leggendari, per sottolineare la propria “britannicità”: “Quando mi rado la mattina e mi ferisco, al posto del sangue esce il thè delle diciassette”.
Maggie Smith non aveva certamente necessità di farsi la barba, eppure ci piace ricordarla così, come un’attrice capace di rappresentare appieno lo spirito britannico, quello assieme aristocratico e popolare, gelido eppure ironico. Ma di un’ironia così tagliente da ridurre a piccole fettine qualsiasi interlocutore.
Maggie Smith, scomparsa il 27 settembre alla bella età di ottantanove anni, era questa. Ma anche molto altro. Ogni volta che entrava in scena si spalancavano gli occhi e non si poteva fare a meno di pensare: “Ecco la classe al lavoro”.
Una carriera sterminata, coronata da ben due premi Oscar ottenuti per La strana voglia di Jean (1970) di Ronald Neame e per California Suite (1979) di Herbert Ross, che ancora non raccontano nulla del talento di Mrs. Smith. Una bravura che l’ha portata a spaziare verso qualsiasi ruolo, da quello più intensamente drammatico ad altri gustosamente comici ancorché rivestiti di densa ironia. Praticamente un marchio di fabbrica. Come anticipato, la carriera di Maggie Smith è talmente vasta che bisogna operare giocoforza delle scelte, magari affidandosi ai ricordi personali. Tipo la sfilata di interpreti ultra-talentuosi presenti in Invito a cena con delitto (1976) di Robert Moore, giallo alla Agatha Christie in cui la trama contava relativamente (?) ma si restava incollati alla poltrona per ammirare le gesta di gente come Peter Sellers, David Niven, Peter Falk, Alec Guinness. Oltre naturalmente all’amatissima Maggie Smith, capace di svettare anche al cospetto di tale parterre. Si passa agli anni ottanta, i magnifici anni ottanta. Una doppietta meravigliosa. In Pranzo reale di Malcolm Mowbray (1984) la troviamo nei panni di una signora alto-borghese decaduta a causa della guerra e tuttavia tesa a riconquistare con ogni mezzo possibile il rango che ritiene appartenerle. Chissà se un innocente maialino riuscirà a fare giustizia… Un’interpretazione, quella di Maggie Smith, assolutamente divina, da standing ovation.
A seguire, nel 1985, lavora in Camera con vista, celeberrimo capolavoro firmato da James Ivory. Un ruolo di contorno, sicuramente. E tuttavia, alla fine della giostra, rimane impressa solamente lei, la grande Maggie Smith. Quindi partecipazioni di lusso con autori del calibro di Steven Spielberg (Hook, 1991), Agnieszka Holland (Il giardino segreto, 1993 e Washington Square, 1997)), addirittura Robert Altman (Gosford Park, 2001). Come trascurare poi la saga di Harry Potter, educazione alla magia e all’incanto visivo ma anche al talento recitativo di una certa Maggie Smith.
Per chiudere con Downton Abbey prima popolarissima serie televisiva, quindi espansa al cinema a grande richiesta. Ora si resta perplessi e un po’ inebetiti, a chiedersi cosa sarà della Settima Arte senza uno dei suoi maggiormente iconici rappresentanti. Continuerà la sua corsa fuori controllo, magari supportata (ahinoi) dall’intelligenza artificiale di cui tanto si parla. Non sarà però la stessa cosa. Perché certe attrici le potevi vedere anche oltre il grande schermo, quasi che la loro bravura ti portasse accanto a loro, ad ammirarle da vicino.
Maggie Smith è stata una delle poche elette a riuscirvi.
Daniele De Angelis