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Magenta

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VOTO: 8

Tra Lovecraft e Conan Doyle

Nel corso della seconda edizione di EXTRAMONDI (NUOVI TERRITORI DEL CINEMA FANTASTICO ITALIANO), rassegna svoltasi di recente a Roma presso gli ambienti così accoglienti di Scena (e chiunque abbia memoria del precedente, vecchio Filmstudio si sarà anche un po’ commosso), vi è stato un continuo ribollire di suggestioni lovecraftiane; così frequenti, pervasive e malsane, da far gongolare in qualche remoto recesso dell’Universo, ne siamo sicuri, lo stesso Cthulhu.

Una delle note di merito la possiamo attribuire tranquillamente al lisergico e angoscioso The Rise, cortometraggio di Sara Antonicelli e Lorenzo Fassina che conoscevamo già grazie all’edizione 2021 del triestino Science + Fiction Film Festival. Ma a ridosso dei Grandi Antichi e delle loro fosche imprese ha avuto luogo un’altra, esaltante scoperta: Magenta di Gabriele Tacchi, ben strutturato come corto ma anche possibile pilot di una più ambiziosa web-serie, Elementary, My Dear Cthulhu, la cui realizzazione sarebbe da noi vista con estremo favore. A partire dal titolo deliziosamente allusivo e rivelatore.

Già nel nome ipotizzato per la serie compare del resto una delle prerogative che ci hanno fatto affezionare maggiormente al progetto: l’ardita contaminazione dell’immaginario “lovecraftiano” con le figure immortali create, invece, da Sir Conan Doyle, ovvero quei due stravaganti cloni di Sherlock Holmes e del dottor Watson la cui inedita collocazione capitolina lascia comunque prefigurare ulteriori, sconcertanti sorprese.
Sta di fatto, ad ogni modo, che con una ammiccante cornice meta-teatrale (per la cronaca sono i locali del Teatro Ygramul a Roma, particolarmente cari al regista) a fare da sfondo, spiazzando ancor più profondamente lo spettatore, i due provetti investigatori entrano in scena solo in un secondo momento; allorché la donna che li ha voluti incontrare, per condividere terribili segreti e chiedere l’aiuto di qualche sedicente “consulente misterico”, ha già avuto un contatto a dir poco terrificante con l’insidioso e malevolo Shub-Niggurath: “una delle divinità esterne, che ha cosparso di aberrazione l’intero universo”, afferma Holmes. “Pianeta più, pianeta meno”, precisa Watson.

Ecco, l’irresistibile ironia dei dialoghi (ben sostenuta da interpreti credibili e ispirati) è l’elemento aggiuntivo, in quanto sostanzialmente estraneo alla scrittura di Lovecraft, che fondendosi con la tensione e col mood tenebroso della prima parte del racconto rende ancora più avvincente questo insolito crossover, già godibilissimo nella durata attuale ma in grado di promettere molto altro ancora, se a livello produttivo vi sarà – come auspicato dal regista e dalla sua crew – qualche sapido sviluppo. Da parte nostra ci auguriamo che le cose vadano proprio in quella direzione, soggiogati non da Shub-Niggurath, ma da una regia brillante e da personaggi che con poche battute a disposizione hanno saputo suscitare enorme curiosità.

Stefano Coccia

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