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Madre

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VOTO: 8

Cuore di mamma

L’onda lunga di Parasite continua a manifestare i propri benefici effetti sulla distribuzione nostrana, “convincendo” chi di dovere a ripescare altri lungometraggi realizzati in passato da Bong Joon-Ho. Stavolta è il turno di Madre (Madeo), straordinaria opera che l’autore sudcoreano ha girato nel 2009, successivamente al particolarissimo, eccellente, monster-movie The Host (arriverà anch’esso nelle sale, prima o poi?) e prima, a scorrere la filmografia, del catastrofico, mirabolante, Snowpiercer, quest’ultimo visto pure da noi.
Anche Madre, per quanto oggetto cinematografico assolutamente atipico e originale, rientra a pieno titolo nella poetica inimitabile di Bong. A maggior ragione se visto o rivisto col senno di poi. In questa storia di amore materno pressoché assoluto senza mai sconfinare nel melodramma, ciò che ancora una volta colpisce nel segno è la capacità sopraffina di saper governare i toni del racconto, conducendo il film ad una cavalcata trionfale sulle montagne russe del dramma più assoluto e la commedia intinta di satira. Per Bong, è cosa risaputa, la vita è una tragedia in cui minuscoli esseri viventi si barcamenano alla meglio, cercando ottusamente un miglioramento alla semplice sopravvivenza. Una filosofia che ha trovato il suo culmine in Parasite, di cui questo Madre rappresenta ben più di una semplice tappa di avvicinamento. Un’opera transgenere sbalzata nella modernità, nonché corroborata dalla consueta perfezione formale, in cui una forma anomala di poesia allo stato puro tenta continuamente di irrompere in una realtà contrassegnata dalla corruzione etica più totale. Dando perciò vita ad un cortocircuito interno ed esterno alla narrazione di quelli davvero incapaci di passare inosservati.
Yoon do-joon è un giovane affetto da evidenti disturbi mentali. Vive una vita border-line, sempre sul punto di cacciarsi nei guai anche a causa delle pessime frequentazioni. La madre (interpretata dalla straordinaria Hye-ja Kim, musa ispiratrice dell’opera) lo controlla per quanto possibile. Ma la svolta radicale arriva quando il giovane viene tratto in arresto, accusato del brutale omicidio di una studentessa con tanto di prove in apparenza schiaccianti. La madre (che nel film, assai simbolicamente, non ha un nome proprio), convinta dell’innocenza del figlio, inizia un’indagine personale allo scopo di scagionarlo.
Come nel capolavoro Memories of Murder (2003) anche durante Madre si assiste ad uno sfibrante processo imvestigativo finalizzato alla ricerca di un colpevole. E tuttavia, ancora una volta, non sarà certo la giustizia a trionfare; bensì una stupidità dilagante, associata ad un opportunismo descritto da Bong con le solite pennellate di ammorbante ironia, autentiche chiamate in correo verso chi guarda. Senza anticipare nulla dei molti colpi di scena proposti dal film, si comprenderà ben presto come quella dell’anziana donna sarà una vera e propria discesa negli inferi, sia pur accompagnata da un sarcastico sorriso autoriale. Una spirale da cui nemmeno lei, con la sua testarda e commovente devozione nei confronti di quel figlio così sfortunato e stolto, saprà uscire indenne. Un balletto grottesco al pari del passo di danza surreale accennato dalla protagonista nella sequenza d’apertura, esattamente speculare a quella di chiusura, meraviglioso frammento di cinema non solamente estetico. Un percorso circolare che ribadisce la perfezione geometrica, tanto nella forma quanto nella visione etica, del cinema di Bong; un circolo vizioso all’interno del quale si potrà solo prendere atto dello stato effettivo delle cose. Unico “lusso” che la triste vecchiaia del personaggio che fornisce il titolo al film riuscirà forse a concedersi. Un sacrificio dal sapore quasi cristologico – senza peraltro l’ombra di alcun condizionamento religioso – sulla cui utilità anche Bong si permette di esprimere dubbi. E noi con lui, con il carico di tutta l’amarezza ed il disincanto scaturiti dalla visione di un’opera capace di sedimentarsi a lungo nella memoria.

Daniele De Angelis

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