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Madalena

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VOTO: 8

Macao Meravigliao

Non è certo la prima volta che al FEFF diviene protagonista Macao. L’ex colonia portoghese, fotografata proprio nel momento emblematico del passaggio di consegne al governo cinese, ha fatto per esempio da sfondo col suo fascino un po’ decadente ad Exiled (2006), memorabile pellicola di Johnnie To. Se i ricordi non ci ingannano, però, è proprio in questa ventitreesima edizione del Far East Film Festival che viene rimarcata per la prima volta la presenza di un lungometraggio, che, finanche a livello produttivo, porti il sigillo della Regione Amministrativa Speciale di Macao della Repubblica Popolare Cinese.

Fatto sta che, al di là di qualsiasi altra precisazione di natura geopolitica, Madalena di Emily Chan è innanzitutto un film bellissimo. Sia per il vitalismo residuale dei personaggi che per l’utilizzo quasi pittorico del paesaggio urbano.
Come avevamo precedentemente accennato, si può annoverare Macao tra gli stessi protagonisti di una tanto intimista e malinconica opera cinematografica. Coi suoi seducenti contrasti antropologici e architettonici. Con le eleganti carrellate sui Casinò e su insegne luminose che attraggono immediatamente lo sguardo. Con gli ambienti maggiormente umbratili e fatiscenti dei caseggiati popolari. Con lo stile coloniale della “città vecchia” che sfida orgogliosamente gli esiti della modernità sparpagliati in giro.
Ma il più grande merito registico di Emily Chan è senz’altro questo: aver fatto dialogare in profondità le anime tormentate dei protagonisti, entrambi in balia di passati ingombranti, con una cornice simile. Tutte e due le loro storie odorano poi del difficile rapporto di Macao con la Cina continentale. Raccontano di un’immigrazione interna al gigante asiatico, in cui le motivazioni economiche finiscono per soffocare esistenze ancora giovani ingrigendole precocemente. Lui, Mada, è un tassista che, avendo scelto i turni di notte, sfoga sul lavoro i rimpianti di una vita privata andata troppo presto alla deriva. Dal canto suo Lena, reduce da esperienze personali persino più traumatiche, è costretta a sommarne diversi di lavori, pur di aiutare a distanza madre e figlioletta costrette a vivere altrove. Mada. Lena. Prende corpo così il titolo del film, assieme a una sorta di alone “proustiano” che sembra pervaderlo dall’inizio alla fine.

Ai personaggi principali assicurano notevole intensità il generoso ma a tratti collerico Louis Cheung e con lui Chrissie Chau, bellezza triste i cui tratti fieri restano impressi a lungo, dopo i titoli di coda. Titoli ove compare anche la breve scena che può rappresentare una possibile redenzione, per quella coppia improvvisata che è riuscita comunque a restare a galla, tra le umiliazioni, le pressioni sociali, i tradimenti crudeli e le ciniche forme di sfruttamento, cui una realtà simile a giungla li ha relegati. La forza dei loro sentimenti riesce a spingerli oltre. Non prima che siano state esplorate, tramite opportuni flashback e un’acuta sensibilità registica, le ragioni così fortemente interiorizzate di tale malessere.

Stefano Coccia

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